Classe 1989, Kiki consegne a domicilio è il quinto film di animazione prodotto dallo studio Ghibli. Possiamo dire che non è di certo tra i primi film della casa di produzione a essere citati quando si parla dei grandi successi di Miyazaki; prima di Kiki altri titoli riempiono le bocche dei fan. Possiamo dirlo, eccome. Possiamo anche dire, però, che Kiki – tanto il personaggio quanto il film in sé – non ha davvero nulla da invidiare ad altri capolavori del maestro. Certamente c’è uno spirito diverso, uno spirito proprio della prima fase artistica dello Studio, in questo film. Kiki riesce a infondere allo spettatore un vero e proprio senso di fanciullezza, di spensieratezza e al tempo stesso quella sensazione di dover cominciare a diventare grandi, che è propria della vita.
Come già per Porco Rosso, anche qui un focus veramente notevole è quello del cielo, del volo, della libertà in aria. Kiki vola, e quando vola si rifocilla di vita. Monta in sella alla sua scopa magica e vive, tra gli uccelli e le nuvole, sfrutta le correnti d’aria, scopre il mondo. Elisir di lunga vita. E anche in questo film, come in Porco Rosso, c’è quel gusto impressionistico che, con ogni fotogramma, ci porta nella magica sala di un pittore esperto, consapevole di aver creato un mondo in cui è un incanto poter entrare.
La protagonista è una giovane streghetta di 13 anni che, da tradizione, ha lasciato la famiglia per spingersi nel mondo, per trovare la propria strada e il proprio posto. Carinissima la controparte animale della giovane protagonista, un magico gatto nero, Jiji, consigliere che cerca di tenerla lontano dai guai, ma anche amico, spalla con cui affrontare il proprio percorso di crescita. Meraviglioso l’entusiasmo della piccola Kiki, la sua curiosità e voglia d’avventura, talmente travolgente e ben reso che penso sia impossibile non condividere i suoi sentimenti, così come viaggiare con lei, non tanto fisicamente – seppure le rappresentazioni dei paesaggi siano, come sempre, un vero tocco da maestro – quanto spiritualmente.
Ambientato in una cittadina ideale giapponese di dichiarata ispirazione occidentale, Miyazaki ha riferito di aver posizionato il film, temporalmente parlando, negli anni ’50, anni lontani dalle tragedie delle guerre. E lo spirito di aver finalmente passato un così brutto momento storico lo si rivede proprio in questo film, una boccata d’aria in cui Miyazaki ci mette di fronte a dei temi perfettamente naturali e positivi, quali la crescita, lo sviluppo e la scoperta personale, non meno l’importanza dei legami che creiamo.
Ma il film parla anche di tempi che si scontrano. La tradizione, rappresentata da Kiki, dalla sua famiglia e dal mondo magico delle streghe con le sue regole e i suoi riti rimasti invariati, e la modernità che si va formando. Quest’ultima chiaramente rappresentata dalla città in cui Kiki decide di stabilirsi. Appena arrivata la streghetta si scontra, letteralmente, con la frenesia di questo mondo “moderno”, con la crescita, con lo sviluppo di sè in una realtà a lei nuova, lontano dagli affetti e dalle certezze della fanciullezza.
Nel corso di questo suo sviluppo Kiki si perderà, non si riconoscerà più e rischierà di perdere anche la propria magia. Vediamo Kiki disperata, quasi depressa, pesantemente schiacciata dalle responsabilità e da quel senso di inadeguatezza che è proprio di ogni adolescente, per poi risorgere grazie all’amicizia. Un vero e proprio di film di formazione!
Interessante il personaggio di Tonbo, il giovane che Kiki conosce casualmente appena arrivata in città. Tonbo è caratterizzato da un’ossessione: riuscire a volare. Questa passione comune – che per Kiki è anche simbolo di destino, realtà immodificabile e, necessariamente, lavoro – è una scelta che permette al film di continuare a muoversi tutto nella direzione del volo, tutto verso il cielo. E non solo grazie al mondo magico, ma anche grazie a un piccolo umano innamorato dell’idea di volare.
Davvero non sentite il vento tra i capelli?
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