Telefilm

Parliamone | La Casa de Papel: Tra Genio e Luoghi Comuni

Chi è un telefilm addicted veterano sarà abituato alle fazioni  di fan e anti fan che si creano quando una serie diventa mainstream. Anche nel caso del successo spagnolo del 2017, La Casa de Papel, abbiamo assistito alla nascita di due forze opposte: la prima che osanna la serie, la seconda che la critica senza remore. La conseguenza costante di queste due nette separazioni è l’intolleranza dell’una verso l’opinione dell’altra.

Il caso de La casa di carta non si smentisce, ma a prescindere dai gusti e dai pensieri personali del pubblico, c’è bisogno di fare un punto, capire l’elemento di attrazione o repulsione verso questa serietv.

Se vi aspettate una recensione sulla quarta parte, questo non è il posto giusto, ma se volete riflettere con noi a colpi di Spoiler, benvenuti.

Per chi è vissuto in un epoca dove terminologie come binge watching erano lontane, ma pratiche già collaudate, la prima visione de La casa di carta ha attratto, non tanto per la trama ma per quanto questa serie abbia fatto rumore. Se abbiamo visto Paso adelante, e amato, sappiamo che le serie spagnole, sono carenti da molti punti di vista, ma intrattengono benissimo. Molti i momenti trash che hanno raggiunto l’apice con le, comunque apprezzate, citazioni italiane. Tuttavia negli anni il paragone con la serie sopra citata, il Segreto e qualche altra soap ispanica che è arrivata a noi è stato immediato e perciò il giudizio sulle produzioni spagnole era sempre tiepido.
La casa di carta ha tutte le carte per piacere anche perché ha avuto anni alle spalle per prendere appunti e collaudare una trama che funzioni, guardando, appunto, tutte le altre trasmissioni. A primo impatto ricorda la fortunata serie di film di Ocean’s (a sua volta remake di Colpo Grosso del 1960), una una banda di geni, sbandati e/o emarginati (ladri), si riunisce per fare un colpaccio. Anche in Italia abbiamo avuto la nostra cricca di truffatori per giunta laureati/ricercatori con Smetto quando voglio, la trilogia di Sydney Sibilla. Quindi, tema ripreso più volte nel cinema anche con Now you see me, i maghi del crimine di Louis Leterrier e sul piccolo schermo con Misfits, serie british, più vicina a quella spagnola di quanto immaginiamo, superpoteri a parte.
Un cast corale attira un pubblico più variegato perché con più figuranti è più facile immedesimarsi, scegliere il preferito e shippare. Inoltre l’intelligenza è sexy, come diceva Irene Adler in Sherlock (BBC). Perciò, essere resi partecipi di un piano inimmaginabile e assistere alla realizzazione di questo, stuzzica il nostro appetito con le nostre più nascoste fantasie. Altro elemento vincente: il professore. Bell’uomo, che incarna il prototipo dell’hipster, riservato, con una scarsa vita sociale, ma con una mente brillante, anche se con motivazioni poco solide che lo portano a commettere delle illecità per onorare il ricordo prima del padre e poi del fratello. Forse è Lui l’elemento più originale, in quanto di serie trainate da personalità eccentriche o forti ne abbiamo avute parecchie, ma una caratteristica specifica le accomunava: la saccente arroganza, Lie ti me, Dott. House, Elementary, ecc. La presenza di un leader più sensibile, invece, ci richiama alla mente Prison Break. E qui subentra il terzo elemento di questa perfetta catena di montaggio che ha sfornato un prodotto vincente, ma già collaudato in precedenza: la fuga. Per chi non conosce Prison Break e i fratelli Scofield, non sa che questa arguta serie della Fox si concentra sul salvataggio di uno dei due dalla prigione di Fox River grazie ad un brillante piano letteralmente tatuato sulla pelle.
Un gruppo, un genio e una fuga.
Se la base è buona e il piano del professore è ben organizzato nei minimi dettagli tanto da tenerci col fiato sospeso più di una volta, quel che non funzione e fa inalterate la fazione degli oppositori è la resa del cast.
Partiamo da un principio che sfugge a molti, la Casa di carta non è Tokyo è il professore. Ora passiamo a Tokyo, voce narrante (preoccupante). Probabilmente siamo tutti abbagliati dai suoi profondi occhi scuri e dal suo deretano immancabile in ogni stagione, ma è la rappresentazione fastidiosa di ciò che sarebbe meglio evitare in ogni serie. Tokyo inserisce riferimenti sessuali ovunque, usa il sesso per comunicare con chiunque e in qualsiasi contesto, anche il più inopportuno. Il sesso vende, ma il suo atteggiamento è degradante. Non è l’idea del professore, mettendo sempre e solo uomini al comando, ad essere sessista, ma l’eccessivo orgoglio femminile di credere di poter creare un matriarcao senza alcuna qualifica. L’essere una testa calda, non è sinonimo di coraggio, ma di eccessiva imprudenza. Ricordiamoci come Tokyo abbia messo nei guai praticamente tutti i suoi compagni, ma l’unico messaggio che deve passare è che il piano del professore è misogino; Tokyo è una Maserati solo perché bella e provocante.
Sicuramente il suo animo distruttore si è placato, ma siamo ben lontani dall‘affidarle il comando anche di un gruppo di soldatini di piombo. Questa idea insistente che si vuol dare di Tokyo, una bomba che è sempre pronta ad esplodere perché sono gli altri ad innescarla e non se stessa, distorce volutamente la realtà.
Rio è arrabbiato col professore, non con Tokyo che lo ha fatto rapire e torturare. E tutti sembrano dimenticarselo. Rio è un punto interrogativo dalla terza parte e deduco che dopo le affermazioni di Alicia sul presunto tradimento di Rio, che è passato inosservato, si aprirà meglio nella quinta parte. Se Rio subisce un’involuzione o semplicemente ce lo siamo dimenticati nelle quinte perché Tokyo e i suoi sbalzi ormonali vendono di più, c’è chi procede spedita e ci lascia soddisfatti: Nairobi.
La sua dipartita ha un solo senso, dovevano far morire un personaggio storico, a cui il pubblico era affezionato e che aveva un vero peso nelle vicende. Nairobi ci ha dato molto, e rimanendo sempre sullo stesso discorso, che si vuol far passare a tutti i costi il messaggio che è il professore che ha messo da parte le donne, Nairobi ha sempre avuto un ruolo, invece, indispensabile. Effettivamente era la grande donna dietro il grande uomo, basti pensare ai compiti delicati di cui si è sempre occupata sia nella Zecca di Stato che ora nella banca di Spagna.
Passiamo al testimone da Berlino a Palermo. Quest’ultima introduzione appare fin da subito come la copia sbiadita e più disturbata di Berlino. La scelta di colmare la sua mancanza con un personaggio analogo avrebbe dovuto dare continuità alla storia, invece l’ha resa altalenante, perché Palermo è il caos che fa rumore, insieme a Tokyo, e non si può prevedere, ma soprattutto ama più se stesso che il piano. I suoi sbalzi d’umore risultano poco realistici, passa dall’incitare Gandia all’uccisione di massa, al ritornare in riga dopo una strigliata del professore. Soprattutto non porta onore a Berlino, un protagonista che sta raggiungendo più consenso da morto, facendoci dimenticare qualche suo comportamento non proprio umano. Tuttavia chi lascia davvero a desiderare è Lisbona che effettivamente ha seguito passivamente il suo uomo, senza mai essere protagonista dell’azione. La sua entrata in scena a 5 min dalla fine con l’operazione Parigi è la prova che qualcun altro si è accorto della sua totale inutilità. Stride questo aspetto, in particolare ricordandoci che è la compagna del professore. Di donne grandi dietro il professore ce ne sono state due, Nairobi e Marsiglia. Il muto parla anche più di una lingua, e si doppia pure in molte versioni. Marsiglia è stata la nostra ancora nella quarta parte, l’uomo che tiene tutto sotto controllo anche e soprattutto il lato emotivo del professore. Un elemento preziosissimo da utilizzare di più in futuro.
Ci sono state molte new entry, troppe per compensare varie assenze. Mosca ha avuto un degno successore, Bogotà, un ragazzone però che sa dispensare buoni consigli, ma pare sempre un po’ inserito a caso nell’azione come la sua prima relazione unilaterale con Nairobi e dopo il ritrovato interesse in seguito all’esperienza post mortem.
Ed ecco la falla più grande de La casa di carta: l’amore e non l’amicizia o la reciproca fiducia come elemento di appartenenza al gruppo. Di relazioni ne sono nate troppe, quella tra Denver e Stoccolma probabilmente sarebbe scoppiata primo o poi. Come è giusto che sia, il nome della ex amante di Arturito aveva un riferimento preciso e sarebbe stato indelicato raccontarci della nascita di un amore così grande tra i due solo per soddisfare i nostri più malsani desideri da fangirls da un contesto, poi, così grottesco. Anche la storia tra Tokyo e Rio era destinata a fermarsi, Tokyo trascina tutti come le lattine degli sposi legate all’auto, Tokyo è una pallina da flipper che non sa dove andare e non le interessa molto degli altri. Per quanto riguarda l’inserimento forzato del triangolo, quadrilatero tra Palermo, Helsinki, Nairobi, Bogotà, ci domandiamo ancora perché. Non è la mole di Helsinki a farci storcere il naso quando è in atteggiamenti intimi con Palermo, ma la totale mancanza di passione tra i due.
Va bene l’attrazione fisica, ma tutto il resto è assente o privo di una spiegazione. I flashback persistenti dell’ultima parte sicuramente hanno colmato tante lacune, e oltre a rallentare, volutamente, l’andamento del racconto, ci hanno mostrato il vero legame tra i personaggi, creando poi un hype altissmo alla morte di Nairobi.
La casa di carta ha un modo di predisporre i fatti intelligente, non ti annoi, e riesce a risaltare anche degli espedienti banali inserendovi una dose di eccezionalità all’evento di cui originariamente non disponeva. Proprio per questo risaltano i cattivi di turno soprattutto in queste ultime parti. Sono loro che dominano nella confusione dell’ultima stagione. Alicia con quel suo sorriso malefico e quei modi molto affascinanti, catalizza l’attenzione, anche se in negativo, è la vera mente che può tenere testa al professore, perché è il suo esatto opposto. Una forza oppositrice molto più presente e combattiva in queste ultime due parti, in cui si è davvero svolta una partita a colpi ininterrotti di battuta. Tuttavia ad un’idea giusta ne segue un’altra sbagliata: Arturo. L’elemento che infastidisce e degenera nello squallore perché viene trasformato da un fanatico del movimento oppositore alle maschere di Dalì a molestatore. Per fermarlo, e ripopolare il cast femminile, viene inserita Manila, l’infiltrata della banda. Tuttavia anche lei passa in secondo piano perché disturbati dalle azioni del primo, assolutamente incongruenti con quanto accade nella serie, ma pericolose se non giustificate nel contesto. Il sesso, le molestie, la violenza, non devono essere mai inserite a caso, e come disse il professore da Robin Hood a stronzi il passo è breve. Difatti, è la strada che la serie sta imboccando da quando ha deciso di proseguire dopo il primo colpo. Tuttavia si percepisce disagio e incertezza dalle azioni di tutti che probabilmente sono consapevoli di non conoscere la destinazione. E quindi i simboli della Resistenza  come Bella ciao, iniziano a perdere di consistenza perché in questa guerra non è più chiaro da che parte stiano combattendo.
Ed ecco che per concludere torno a risottolineare il punto debole di questa serietv:
la sua continua incongruenza,
il suo voler essere un eroe, ma non un modello,
il suo voler spingere, senza prima riflettere,
il suo voler essere Tokyo e non il Professore.

Il vero caos è quello che non fa rumore, che si infiltra silenzioso, il professore appunto.

Quindi perché piace. Prima di tutto bisogna capire a chi: chi è a digiuno da serie adrenalitiche, chi non ha vissuto settimane d’ansia in attesa che la sera in prima tv uscisse una nuova puntata, chi ama le serietv, forse poche e le conserva nel suo cuore, chi nonostante i mille telefilm è tornato a stupirsi. A chi non piace: a chi si è visto bistrattare serie che meritavano di continuare, ma dato che oggi sono una distrazione e non più un’immedesimazione, vive una triste realtà fatta di cancellazioni e continui dimenticatoi, a chi l’ha iniziata per moda e si è pentito del suo stesso gesto.

Vale la pena vedere La casa di carta? Certo, ma prendetela come un trampolino di lancio per scoprire o riscoprire tanti altri gioiellini seriali da cui hanno preso spunto. La Casa de Palel è l’inizio del caos, e non la fine.

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