Verso metà gennaio, poco prima del termine della pausa natalizia prevista per gli show CW, ho scritto una recensione molto sorpresa e piuttosto entusiasta riguarda i primi otto episodi di Batwoman (la trovate qui nel caso la voleste recuperare). Se all’inizio della serie sono rimasta molto stupita dall’inattesa qualità, soprattutto a livello narrativo, che vi ho trovato, devo dire che con il ritorno dalla pausa temevo che quella qualità a cui mi ero abituata di settimana insieme settimana, si sarebbe un po’ per persa per strada. Batwoman è però riuscito a stupirmi di nuovo, dimostrando di avere ancora diverse carte da giocare. Certo, bisogna considerare che i tredici episodi andati in onda fino ad ora avrebbero dovuto costituire idealmente la prima stagione dello show, prima che il network desse l’ordine completo per i canonici ventidue, quindi è plausibile che la densità di avvenimenti e la quasi assoluta mancanza di filler siano da attribuirsi a ciò. Fatta questa osservazione, rimane comunque indubbio l’ottimo lavoro fatto dallo show fino a questo punto e, personalmente, non posso che confermare tutti gli elogi fatti nella prima recensione. Batwoman continua ad essere una serie con tanto cuore e tanto coraggio, con dei messaggi chiari da voler mandare, con una storia profonda da voler raccontare attraverso la classica narrazione dell’eroe e con un ottimo sviluppo dei personaggi. Come potete intuire, dunque, quella che seguirà sarà un’altra recensione piuttosto positiva nella quale cercherò di analizzare quanto avvenuto tra l’episodio post-crossover e l’ultimo andato in onda. Questa volta, però, complice la narrazione sempre più corale, temo mi venga più difficile suddividere l’analisi per personaggi, quindi procederò per vicende e rapporti.
- Beth, Alice e Kate
Penso che questa scelta narrativa sia stata un vero colpo di genio, sotto diversi punti di vista. È stato, infatti, un perfetto modo per affrontare molte tematiche e molti conti in sospeso di Kate con il suo passato, dando però ai fan ciò che più amano in questo show. Perché il fandom di Batwoman si divide su molte cose – Ruby Rose sì e Ruby Rose no, Sophie è il male sceso in terra o un cucciolo da proteggere ad ogni costo, Kate e Sophie coppia della vita o Sophie lontana da Kate perché l’ha già fatta soffrire abbastanza – ma se c’è qualcosa su cui tutti concordano è l’apprezzamento smisurato per Alice e per l’interpretazione di Rachel Skarsten, a cui, per inciso, dovrebbero tirare gli Emmy con la fionda. Quale modo migliore, quindi, di dare una scossa alla dinamica Kate Vs Alice se non quello di riportare indietro Beth? Al di là del colpo di scena genato dal suo arrivo, infatti, la comparsa di Beth è stata fondamentale per smuovere Kate, per farle affrontare il suo passato, e per tirare fuori da Alice qualcosa di diverso dalla follia e dalla voglia di vendicarsi che l’hanno contraddistinta fino ad ora. Beth è tutto quello che Alice sarebbe stata se Kate l’avesse salvata, anzi, Beth è la testimonianza vivente che Alice non sarebbe mai esistita se Kate fosse riuscita a portare in salvo la sua gemella. Beth, però, non è solo il rimpianto vivente di Kate ma è anche la sua seconda possibilità a cui la giovane Kane si attacca con tutte le sue forze. Nella scorsa
recensione parlavo di come Batwoman tenga sempre a fare scelte difficili a livello di trama, che mettono alle strette i personaggi e li costringono a prendere una posizione netta. È successo con Sophie, quando si è scelto di non far morire banalmente il marito ma di farle affrontare tutta la questione con lui; è successo con Mary che ha dovuto fare i conti con la morte della madre che non è tornata indietro neanche dopo la crisi sulle varie terre; ed è successo ora con Kate che sceglie chi deve vivere tra Beth e Alice. Sarebbe stato molto più semplice e meno controverso se una delle due fosse morta per altre circostanze prima che Kate compisse la sua scelta, e invece si è fatto in modo che Kate decidesse effettivamente chi salvare tra le due versioni di sua sorella, facendola allo stesso tempo assistere a quelli che sarebbero dovuti essere gli ultimi momenti di vita dell’altra. È vero che alla fine Beth è morta e che Kate si ritrova nuovamente ad affrontare Alice, ma è anche vero che la sua scelta ha avuto un forte impatto sul loro rapporto che, paradossalmente, è diventato più onesto, ma anche più complicato e oscuro. Kate è ormai convinta che Alice sia irrecuperabile e vedere Beth, poter passare del tempo con lei, e toccare con mano come sarebbe stata la loro vita se quell’incidente avesse avuto un esito diverso, ha solo contribuito a radicare questa convinzione in lei. Kate pensava di poter avere una seconda possibilità con Beth;
credeva di potersi lasciare il passato alle spalle e vivere come se fosse riuscita a salvarla e il fatto che questa opportunità le sia stata portata via, contribuisce solo a farle odiare Alice ancora di più. Perché lei è sopravvissuta e Beth no. Perché Alice le ricorda che non è sempre stata un’eroina ed è l’incarnazione vivente del suo errore più grande. Non tutto l’astio che Kate nutre nei confronti di Alice è infatti dovuto alle riprovevoli azioni di quest’ultima, ma buona parte di esso è dovuta all’odio che Kate prova verso se stessa per non averla salvata e che tende a proiettare su Alice. Avendo avuto la conferma che se l’avesse tirata fuori da quell’auto le cose sarebbero andate molto diversamente, Kate non può far altro che incolparsi e odiarsi per non esserci riuscita. E per lei è molto più semplice riversare tutta questa frustrazione su Alice, che più volte ha dato prova di non meritare alcuna compassione, piuttosto che conviverci ogni giorno come ha fatto negli ultimi anni. La breve comparsa di Beth, però, non ha influito solo su Kate ma anche su Alice. Fino a questo momento, Alice ha tentato in tutti i modi di convincere Kate che la sorella che lei cerca di ritrovare non esista più, eppure è bastato che Kate smettesse di provarci per farle ammettere che non è così. Alice non vuole essere salvata fino a quando Kate non smette di tentare ed è solo quando Kate mette l’ennesimo mattone sul muro che sta costruendo tra loro, che Alice ammette finalmente la verità: “forse non voglio che tu ti arrenda con me”. In queste parole c’è tutta la verità su Alice, la fragilità di una persona che si è persa, che si è costruita una vita parallela e un personaggio da interpretare per sfuggire all’orrore che ha vissuto,
ma che, in fondo, sta solo chiedendo aiuto nell’unico modo in cui è capace e all’unica persona che forse potrebbe ancora salvarla da se stessa e da quell’oblio di follia e disperazione in cui si è gettata da sola, perché è più facile sopportare una finzione di cui si è padroni, piuttosto che una realtà di cui si è vittime.
- Sophie, Kate e Batwoman
Nella scorsa recensione ho parlato tanto di Sophie e posso assicurare che anche stavolta ho parecchio da dire, soprattutto perché al team creativo di Batwoman piace complicarsi la vita enormemente (in modi geniali e stupendi) e lo fa con personaggi già piuttosto complessi e sfaccettati di loro. Penso che Sophie sia la parte più difficile di questo show e che questo personaggio si porti sulle spalle un peso enorme, un peso che va ben oltre la serie, un peso che, paradossalmente, forse neanche la protagonista porta su di sé. E lo fa benissimo. L’avevamo lasciata a disperarsi sulle scale del quartiere generale dei Crows per la fine del suo matrimonio con Tyler, ma soprattutto perché questo significava per lei dover fare i conti con se stessa e con quella parte di sé che si è sforzata per anni di chiudere in un armadio. Si tende spesso a dire che il primo passo sia il più difficile, ma nessuno dice mai che il secondo lo sarà altrettanto e che anche tutti quelli che verranno dopo lo saranno. È troppo facile pensare che basti iniziare qualcosa per poi portarla a termine e la storia di Sophie è lì a testimoniare esattamente questo. Si poteva pensare che parlare con Tyler fosse la parte più difficile per lei, e invece abbiamo avuto la riprova che forse è stata quella più semplice, un po’ perché è stato lui ad intavolare il discorso ma soprattutto perché è molto più semplice scoppiare quando si è saturi che fare i conti con le macerie rimaste dopo lo scoppio. Non è un caso, quindi, che dopo l’allontanamento
dal marito, per Sophie sia iniziato un periodo ancora più buio e tormentato. Così buio e tormentato che chi è riuscita a comprenderlo fino in fondo è stata Alice. Il discorso sulla gabbia che Sophie ha costruito e in cui si è rinchiusa messo a paragone con il periodo di prigionia di Beth è un capolavoro a livello di sceneggiatura perché riesce a fotografare alla perfezione la condizione dell’agente Moore, rendendola quasi tangibile a livello fisico e comprensibile a chiunque. Ai tempi dell’accademia il suo mancato coming out era una scelta obbligata dettata dalla condizione economica e dalla necessità di tenersi quel posto nell’esercito; ma, a distanza di anni e con una situazione del tutto diversa, nessuno la obbligherebbe a reprimersi. Nessuno eccetto se stessa. Se la storia di Sophie raccontata dai flashback parlava di privilegio di essere liberi, quella attuale racconta di omofobia interiorizzata ad un livello tale che nemmeno la sicurezza economica, la fine del matrimonio di facciata che si è tanto sforzata di tenere in piedi e la consapevolezza che se corresse dalla donna di cui è innamorata (perché Sophie è innamorata di Kate) lei la accoglierebbe a braccia aperte, le sono sufficienti per smettere di nascondersi. Ed è in tutto questo che si inserisce Batwoman. Tralasciando un attimo la questione del fatto che Sophie conosca o meno la sua reale identità (e dopo il bacio direi che dovrebbe), il senso del suo avvicinamento alla nuova vigilante di Gotham sta tutto in questa sua paura di essere libera e nell’incapacità di accettarsi. Sophie ha visto in Batwoman da prima
qualcuno di sconosciuto con cui poter parlare senza filtri, e poi un modello, un qualcuno da prendere ad esempio, sopratutto dopo il coming out pubblico. Batwoman è tutto quello che Sophie vorrebbe essere. È un’eroina che si è messa al servizio della città ma non è scesa a compromessi e non ha nascosto il proprio orientamento sessuale per farlo. Ma Batwoman è anche altro. È un gioco affascinante, una storia che permette a Sophie di respirare essendo se stessa, anche se solo di notte e sul tetto di un palazzo, senza doversi mettere davvero in discussione e senza affrontare quella parte di sé che le fa tanta paura. Batwoman è, per adesso, il giusto compromesso tra fingere di essere chi non è, restando ingabbiata in um matrimonio che la rendeva infelice, e uscire allo scoperto con tutto il mondo. Il discorso per altro vale sia nel caso che Sophie sia a conoscenza della vera identità di Batwoman, sia che non lo sia, perché il punto è che potrebbe avere qualsiasi donna, soprattutto Kate, ma sceglie comunque una storia senza prospettive rispetto a qualcosa di più reale e concreto, quindi impegnativo, che adesso non è in grado di affrontare. Tirando le fila di questa dissertazione, quindi, non posso fare a meno di elogiare per l’ennesima volta l’estremo realismo del percorso di questo personaggio che non brucia le tappe per arrivare al punto ma si prende i suoi tempi per raccontare un qualcosa che va molto oltre le esigenze di trama, senza però strafare o piegare in modo forzato la narrazione. Sophie non è un personaggio vuoto e riempito di una storia che deve essere raccontata
a prescindere da chi ne sia l’interprete, è un personaggio completo la cui storyline è così ben curata e ben scritta da poter andare oltre il suo ruolo nella serie, senza per questo risultare fuori contesto. Sta al pubblico decidere se vedere in lei “solo” l’interesse amoroso della protagonista o qualcosa di più profondo.
- Il support team: Mary e Luke
Mi sento di accomunare questi due personaggi perché penso che abbiano un percorso sostanzialmente molto simile anche se svolto in circostanze diverse. Luke è l’assistente di Batwoman ma stare a stretto contatto con l’eroina gli ha consentito di conoscere la donna dietro la maschera e di diventarne amico. Non a caso lui è l’unico che si permette di mettere in discussione l’atteggiamento di Kate verso Alice e che cerca di farle capire che questa ostilità che mostra nei confronti della sorella nasconde in realtà una profonda sofferenza. Il loro rapporto è fondamentale per lo show, anche se spesso passa in sordina rispetto agli altri, perché alleggerisce la storyline di Batwoman, piuttosto carica dal punto di vista emotivo, e perché fornisce a Kate il sostegno di cui ha bisogno per sopportare il destino che si è scelta. Luke, però, sta crescendo anche come personaggio singolo, ritagliandosi sempre più spazio ed uscendo sempre più spesso dal ruolo di comic relief a cui sembrava destinato nei primi episodi. Mary sta affrontando qualcosa di simile, infatti anche lei ha avuto un arco narrativo che l’ha portata ad avvicinarsi molto a Kate: è passata da essere la sorellastra che Kate teneva a tutti i costi a distanza, a diventare la sorella che Kate merita e quella di cui ha bisogno, forse anche più di Alice/Beth. Mary è la parte più umana e normale di questa serie, ma non per questo quella più debole o meno importante. Ha dimostrato un’enorme forza, soprattutto nello scegliere di perdonare Kate e di starle a fianco, nonostante siano state le scelte di quest’ultima e la sua ostinazione nel voler salvare Alice a portare alla morte di sua madre. In un mondo fatto di supereroi, aiutanti geniali e ragazze super-addestrate, è importate mostrare come si possa fare la differenza anche restando delle persone comuni spinte da una forte motivazione. E Mary è tutto questo, sia per come è riuscita ad avvicinarsi a Kate senza forzarla e rispettando i tempi e gli spazi che lei le ha concesso, sia grazie alla sua clinica clandestina con cui cerca di fare la sua parte per rendere Gotham una città migliore. Ora che ha messo insieme i pezzi del puzzle e ha finalmente capito chi si cela dietro la maschera di Batwoman, mi auguro che lei e Luke costituiscano un vero e proprio bat-team,
senza però dimenticare che loro sono anche gli unici (per ora) sui cui Kate può contare una volta tolto il mantello. È un equilibrio sottile, come tutti quelli che costituiscono lo show, ma gli autori hanno già dimostrato di saper gestire queste situazioni quindi immagino che faranno un ottimo lavoro anche in questo caso.
Prima di chiudere questa recensione, ci tengo ad analizzare un ultimo aspetto della serie che esula dalle vicende narrate, ma che sembra essere il vero spartiacque tra detrattori e sostenitori della serie. Batwoman è, per certi versi, uno show politico e anche socialmente impegnato, soprattutto sul fronte LGBTQ. Di per sé, non mi stupisce che questa connotazione abbia attirato diverse critiche, ma trovo profondamente ingiusto che l’impegno verso una tematica importante venga visto come un difetto, come se togliesse qualcosa alla narrazione. Ora, lungi da me pensare che a tutti debba piacere questa scelta, perché ognuno ha il diritto di cercare determinate caratteristiche nelle storie e nei personaggi che le popolano ed è altrettanto libero di allontanarsene quando non le trova, però credo che considerare un difetto l’impegno di Batwoman verso questo tema sia qualcosa di veramente fuori luogo. Un conto è non sentirsi coinvolti dalla cosa perché, magari, questa scelta narrativa non parla a noi, un altro è pensare che sia una pecca perché snatura la serie o la porta fuori dai confini classici delle narrazioni supereroistiche. In termini molto spiccioli questa posizione di critica alla serie può essere riassunta nella frase: “Batwoman è troppo gay”. Ecco, no, Batwoman non è troppo gay, o comunque non è troppo gay più di quanto The Flash non sia troppo etero. Non si può essere troppo gay. Al massimo si può decidere di dare dignità a ciò che si sceglie di raccontare, cosa che Batwoman fa e anche piuttosto bene, o si può sfruttare un argomento di richiamo per attirare pubblico senza però dargli alcuna reale importanza nella storia, cosa che avviene troppo spesso in moltissime serie, anche della stessa CW. Indipendentemente dall’interesse che si nutre verso la tematica, dunque, penso che questo sia il tipo di prodotto a cui dovremmo aspirare: uno show che sceglie di raccontare qualcosa attraverso i suoi personaggi, rischiando anche di non piacere ma restando coerente al proprio spirito, e che non si fregia di trattare certi argomenti solo per attirare audience ma che li affronta con serietà e consapevolezza, senza renderli delle figurine da incollare su un metaforico album dell’inclusività.
Vi lascio con il promo del prossimo episodio in onda l’8 Marzo negli USA (CW basta pause, grazie)
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