Molto spesso mi capita di iniziare le serie per un particolare che riguarda uno dei personaggi più che per la trama che sembrano voler raccontare. È successo lo stesso lo scorso ottobre con Batwoman. Infatti, non essendo particolarmente amante dei supereroi se non di Batman e di tutto il suo universo, ammetto che il mio interesse per questo show sia nato solo ed esclusivamente dal voler vedere come avrebbero trattato una protagonista lesbica out and proud. Anzi, dirò di più. conoscendo i prodotti CW e guardando i primi trailer, quello che mi aspettavo di trovare era uno show trash, qualitativamente scarso, con una pessima caratterizzazione dei personaggi e con l’elemento LGBTQ usato solo per attirare pubblico. Ecco, dopo otto episodi (escluderò il crossover in questa recensione), posso affermare che non ci sia nulla di più lontano da Batwoman di questa descrizione. Questo show si è rivelato sorprendente in positivo sotto tutti i punti di vista, e non perché io avessi basse aspettative, ma perché è davvero una serie ben fatta. Batwoman si è presa e si sta prendendo il suo tempo per costruire una base solida e una caratterizzazione a tutto tondo dei suoi personaggi e trattare le tematiche nel modo più completo e veritiero possibile, arrivando spesso e volentieri a compiere scelte narrative apparentemente complesse ma molto realistiche. Più e più volte, infatti, si nota come ci sarebbero state diverse risoluzioni più semplici per le questioni messe in campo e come, invece, sia sempre stata scelta la strada più complessa ed emotivamente difficile, e si sia deciso di trattare le situazioni spinose mostrandone dei lati inusuali, su cui lo spettatore ha bisogno di ragionare e spesso rischia di trovarsi in disaccordo. Ci sono tanto cuore e tanto coraggio dietro alla creazione e alla produzione di questa serie. C’è un team creativo che conosce bene quello di cui vuole parlare e i messaggi che vuole mandare. C’è un cast a cui interessa dare dignità e rappresentazione a determinate tematiche. In Batwoman c’è tutto quello che si potrebbe volere da uno show sui supereroi e, forse, anche molto molto di più.
Partiamo ovviamente dalla protagonista: Kate Kane (Ruby Rose). Sarà strano, ma forse lei è l’unica che a primo impatto non convince al cento per cento. Soprattutto nel pilot e nei primissimi episodi, infatti, sembra un po’ fuori posto e si ha l’impressione che su di lei sia stato caricato il peso dell’intero show. Un peso che le sue capacità attoriali non danno l’impressione di poter reggere. Con il passare degli episodi, però, complice l’ampliamento dello spazio dato agli altri personaggi e il fatto che Ruby Rose entri finalmente nel ruolo, questa sensazione scompare e lo show acquisisce una totale organicità che lo discosta dalla struttura Kate-centrica dell’inizio. Come già detto, Kate è una donna lesbica out and proud e questa caratteristica è fondamentale per il suo percorso ma non è ciò che la definisce. C’è una sottile ma sostanziale differenza tra il dare la giusta importanza ad un lato di un personaggio e il farlo coincidere con esso. Qui la showrunner e gli sceneggiatori sono stati abili nel non far coincidere Kate con il suo orientamento sessuale, nonostante esso sia una componente importante della sua personalità. Questo è ben visibile, ad esempio, nel modo in cui viene mostrata la storyline che l’ha portata ad abbandonare l’accademia militare ad una settimana dal diploma. Kate ha infatti frequentato l’accademia nel periodo immediatamente successivo all’abolizione della politica “don’t ask, don’t tell” dell’esercito americano ma, come spesso accade, la forma mentis cambia in modo molto più lento rispetto alle leggi. Proprio per questo motivo, quindi, sarebbe stato semplice mostrare come
questa politica omofoba avesse portato direttamente alla sua cacciata dall’accademia, e invece lo show fa una scelta diversa, più articolata, che dice tanto di Kate quanto del clima che vigeva, e probabilmente tutt’ora vige, nell’ambiente militare americano. È infatti una scelta di Kate quella di andarsene perchè non vuole piegarsi ad una discriminazione ingiusta, perchè non vuole permettere a nessuno, né all’esercito né al gestore di un ristorante, di rinchiuderla in un armadio in cui lei si rifiuta di strae e perchè è una persona estremante determinata ad essere libera, ad essere se stessa e a non vergognarsene mai. Certo, lo show è anche molto bravo a mostrare come questa sua libertà sia sì una scelta, ma anche una scelta che le è permesso fare grazie alla disponibilità economica della sua famiglia. Intendiamoci, questo non toglie nulla al suo coraggio e alla sua fierezza, ma sarebbe stato ipocrita non mostrare come avere un piano b e una rete sociale di sicurezza renda più facile essere se stessi a cuor leggero. Come dicevo, però, Kate è molto di più di questo. È una figlia con un rapporto conflittuale con il padre, nato dall’incapacità di entrambi di superare la scomparsa di Beth, gemella di Kate, e disposta a tutto pur di dimostrare il suo
valore all’unico genitore che le è rimasto. È una persona alla ricerca del suo posto nel mondo e di un equilibrio interno ed esterno che le permetta di avere dei rapporti sinceri con chi cerca di avvicinarsi a lei spinto dall’affetto, come Mary che prova e riprova a comportarsi da sorella ma si ritrova sempre la porta sbattuta in faccia. È ancora la ragazzina che ha perso la sua gemella e che non ha mai superato quel lutto, limitandosi ad indossare una corazza in cui si è rinchiusa. E poi Kate è anche una donna innamorata che non ha mai superato la fine della sua relazione con Sophie e che non esita a mollare tutto per tornare a Gotham e salvarla, dimostrando come il tempo non abbia in alcun modo guarito il suo cuore spezzato. Tutti questi lati della sua personalità ovviamente rimangono presenti anche quando indossa il costume di Batwoman, dando così vita ad una vigilante volenterosa ma molto fragile e inesperta che ha ancora tutto da imparare. Batwoman ha, suo malgrado, l’ingrato compito di essere all’altezza di quanto fatto da Batman prima di lei, e questo, soprattutto all’inizio, le rende difficile riuscire bene nel suo intento di proteggere Gotham. Kate e il suo alter ego dalla parrucca rossa crescono di pari passo con il procedere degli episodi e mentre la donna impara ad aprirsi agli altri e a non isolarsi nel suo dolore, l’eroina si avvolge nel suo mantello e abbraccia la sua strada solitaria di protettrice della città. Questi due aspetti sono in un equilibrio molto precario, e il fatto che la sua principale antagonista sia anche la sorella che cedeva morta, di sicuro non la aiuta a
tenerli separati. Ma va bene così, fa parte anche questo della crescita del personaggio che diventa ancora più interessante. Il finale di metà stagione in fondo è proprio uno scontro tra questi due lati: da una parte c’è Kate che pensa di poter salvare Beth mentre dall’altra c’è Batwoman costretta a lottare contro la follia di Alice. Per ora sembra che Batwoman sia destinata a prevalere su Kate, proprio come Alice prevale su Beth, ma è evidente che questo dissidio tornerà più e più volte in futuro.
Passiamo proprio a Beth/Alice che è a mani basse la parte migliore di tutto lo show fino a questo momento. Sarà che Rachel Skarsten ha una recitazione magnetica e ha dato vita ad una cattiva meravigliosa, sarà che la dicotomia tra la Beth e Alice, che riflette quella tra Kate e Batwoman, è una tematica molto affascinate e sarà che la sua vena di follia la rende geniale ed inquietante al punto giusto, ma lei è davvero la forza di questa serie. Con un altro villain il risultato forse non sarebbe stato altrettanto eccellente. In tutta onestà, al termine del pilot ho temuto che fosse un errore rivelare così presto la vera identità di Alice ma, guardando gli episodi, mi sono resa conto che in realtà è stata una scelta molto intelligente perchè ha portato subito lo scontro tra lei e Kate su un altro livello, fino ad arrivare all’apice del finale in cui Alice ha dato sfogo a tutta la sua follia e cattiveria, portando sua sorella a pensare che in lei non ci sia più nulla da salvare. E questo è un po’ il dubbio che si
insinua anche nello spettatore: Alice può redimersi e tornare ad essere Beth o è ormai persa per sempre? Temo che non ci sia una risposta definitiva e che anche la visione di Kate, e di riflesso la nostra, sia destinata a cambiare ancora diverse volte. Quello che però rende ancora migliore il personaggio è l’aver visto cosa abbia portato Beth a diventare Alice, come sia stata la crudeltà umana a renderla ciò che è, e soprattutto l’idea che Kate sia stata a letteralmente un passo dal poterla salvare. Le sarebbe bastato aprire quella porta, Beth sarebbe tornata a casa e forse ora la vita di entrambe sarebbe completamente diversa. A primo impatto è facile paragonare Alice e Joker perchè i due personaggi sembrano effettivamente molto simili, ma la verità è che non c’è nulla di più errato. Joker, nella sua concezione originale, è la follia pura, l’abbandono di ogni logica e soprattutto l’assenza totale di motivazione in questo. Joker non ha un’origine vera e propria ed è questo a renderlo affascinate perchè ci si rende conto di come non tutto possa avere una spiegazione. Pensate al Joker di Heath Ledger nel Batman di Nolan e a quanto sia straniante, e allo stesso tempo
affascinante, sentirlo inventare ogni volta un’origine diversa per le sue cicatrici, rendendosi così conto che il caos in cui egli vive e in cui vorrebbe gettare l’intera città non è spiegabile razionalmente. Con Alice, invece, quello che funziona è l’esatto opposto. È la consapevolezza che questo stato di instabilità mentale abbia un’origine, che quell’origine sia umana e che avrebbe potuto essere salvata. Questo, però, non la rende un’antagonista meno riuscita, anzi, evita la riproposizione di qualcosa già visto e rivisto in diverse trasposizioni, senza però togliere intensità allo show.
E dopo il villain, quello di cui un eroe ha bisogno è sicuramente un interesse amoroso quindi apriamo il discorso Sophie Moore (Meagan Tandy). Lei è il mio personaggio preferito, fondamentalmente perchè se non adotto casi umani non sono contenta, ma è anche quello attorno a cui ho visto nascere più discussioni online e di cui io stessa mi sono ritrovata a parlare di più. Credo che Sophie sia un personaggio complesso, forse difficile da comprendere, su cui c’è bisogno di ragionare molto e di cui è importante conoscere e capire il background e il modo di pensare per riuscire a comprenderne i comportamenti. Questo non significa che si debba essere d’accordo con lei, ma credo ci sia davvero bisogno di riflettere prima di giudicarla. Sophie è una donna, nera, proveniente da una famiglia non benestante e omofoba, che vuole fare carriera nell’ambiente militare e che scopre di essere attratta (anche o solo) dalle donne. Partendo da queste premesse, è piuttosto semplice immaginare quanto per lei sia difficile vivere liberamente la propria sessualità e quanto questo contesto e queste circostanze l’abbiano portata ad interiorizzare un tale livello di omofobia che non permette a lei stessa di accettarsi, figuriamoci di avere una relazione con una come Kate che sbandiera senza alcun problema la propria omosessualità.
Lungi da me dire che Sophie abbia sempre degli atteggiamenti corretti, ma, a mio modesto parere, penso che siano più che comprensibili. La verità è che Sophie ferisce Kate perchè non vuole voler stare con lei, non vuole desidera una donna. Qui non si tratta neanche del giudizio degli altri ma del giudizio che lei dà su se stessa. A Sophie è stato insegnato a seguire le regole, ad abbassare la testa, a lavorare duro per ottenere quello che vuole e a non uscire dai binari della normalità per come è concepita dalla società. Sophie non ha mai avuto il privilegio di scegliere e l’unica volta che ha provato a farlo, ha quasi perso tutto quello per cui aveva faticato. Personalmente ho trovato disarmanti la violenza e la schiettezza con cui Batwoman, attraverso la sua storia, sbatta in faccia allo spettatore come anche scegliere di essere se stessi alla fine sia un privilegio anzi, un lusso che non tutti possono permettersi. È meraviglioso il modo in cui Kate volta le spalle a testa alta a chi non la vuole, ma la verità è che una persona su mille ha la possibilità di farlo. Il mondo è fatto più che altro di Sophie, di persone che non sono libere, di persone che per sopravvivere devono tacere e abbassare la testa. Ci vuole coraggio ad alzare la voce per combattere per i propri diritti, è vero, ma ci vuole molto coraggio anche a rinnegare se stessi e costringersi ad una vita che non si vuole pur di non mandare all’aria tutto quello per cui si è lavorato. Gli eroi non sono solo quelli che combattono, ma sono anche quelli che resistono in silenzio e usano tutte le loro energie per non soccombere. Quella di Sophie non è una posizione semplice e per quanto lei stia facendo del male sia a
Kate che a Tyler, non bisogna dimenticarsi che è lei la prima vittima di se stessa e della sua storia. Sophie è vittima di una famiglia che considera l’omosessualità come qualcosa di sbagliato; è vittima di un ambiente, quello militare, che non vuole persone LGBTQ al proprio interno; è vittima della sua condizione economica; è una donna ed è quindi facile immaginare quanto per lei sia stato difficile fare carriera in un contesto tradizionalmente misogino; ed è nera quindi già di per sé soggetta a discriminazione. Sophie ha costruito una maschera che si è sforzata tutti i giorni di indossare ma il ritorno di Kate l’ha riportata alla realtà e lei ha lottato con tutte le sue forza per mantenere intatta la finzione che aveva costruito. Il problema, però, è che questo non le è riesce più e che nel tentare di farlo sta ferendo anche chi non lo merita, oltre che se stessa. Purtroppo, ora come ora, questa è una situazione in cui nessuno vince e tutti soffrono. Soffre Sophie che si divide tra chi vorrebbe essere per avere la vita che ha sempre immaginato e chi realmente è; soffre Tyler che si è reso conto di non conoscere per nulla sua moglie; e soffre Kate che si ritrova allo stesso punto di cinque anni fa. Non c’è una soluzione che possa sistemare questa situazione e far star bene tutti. C’è il lavoro che Sophie deve fare su se stessa e da sola per accettarsi e per imparare a
volersi bene. Il primo passo lo ha fatto essendo sincera con Tyler per quello che le è possibile in questo momento, ma adesso l’aspetta ancora un percorso lungo e tortuoso. Non è un viaggio semplice e si troverà altre volte a piangere disperata senza sapere come fare, ma è anche vero che non può esserci ricostruzione senza distruzione.
Già che mi sono dilungata, tanto vale che mi prenda un altro momento per commentare quel capolavoro che è la scena del confronto tra Kate e Sophie nella 1×07 perché penso che sia emblematica del loro rapporto, del conflitto interno che affrontano l’una in relazione all’altra e anche dalla cura che questo show mette nel rappresentare ciò che sceglie di mostrare. La scena è strutturata su due piani che servono a mostrare lo scontro tra il lato razionale e quello emotivo che Kate e Sophie stanno vivendo, anche se in maniera diversa. Il primo è affidato alle parole, ai dialoghi e a quello che è giusto dire; mentre il secondo è lasciato alla musica che, complice un montaggio perfetto e una canzone così azzeccata che sembra essere stata scritta di proposito per questo momento, riempie i silenzi e sembra dire ciò che loro non hanno il coraggio di pronunciare. Così ci ritroviamo Kate che dice a Sophie di voler mantenere le distanze in avanti e Sophie che non tenta neanche di fermarla, mentre la voce in sottofondo canta: “I hate her, I love her, I miss her, I want her back, sometimes. I keep running in circles. She keeps running through my mind” (La odio. La amo. Mi manca. A volte la rivoglio. Continuo a correre in tondo. Lei continua a girarmi in testa). E poi
ancora, quando Kate è da sola e scoppia a piangere vedendo la medaglia dell’accademia che Sophie ha conservato per tutti quegli anni e che ora le ha ridato, sentiamo la canzone dire: “Over. Still have to remind myself it’s over. Fight back the urge to hold her. ‘Cause these hands, they used to know her” (Finita. Devo ricordarmi che è finita. Combattere l’impulso di stringerla. Perché queste mani la conoscevano). È una scena di una potenza rara ed è curata a livello quasi maniacale quindi, con queste premesse, non posso far altro che aspettarmi grandi cose da loro, non per forza positive ma comunque di un certo spessore.
Chiuderei il cerchio dei personaggi femminili con Mary (Nicole Kang) che è partita in sordina per poi rivelarsi un elemento importante per la trama e per l’intera serie, passando da essere il comic relief a rappresentare la parte più umana e meno oscura dello show. Lei è la sorella di cui Kate avrebbe bisogno ed è l’unica che combatte davvero per riuscire a stare al suo fianco, nonostante lei la allontani ogni volta. Inoltre Mary rappresenta la falsità delle apparenze e quanto possa essere sbagliato giudicare qualcuno dall’esterno. In fondo anche lei ha una doppia identità: di giorno ricca ereditiera alla moda Instagram addicted e di notte medico per i più sfortunati. È stato anche piuttosto interessante vedere come questa sua doppia identità l’abbia portata ad instaurare due rapporti diversi con Kate e Batwoman, facendola avvicinare moltissimo alla prima e mantenendola a distanza di sicurezza dalla seconda. Fino ad adesso lei è quella che ha perso di più quindi penso che dopo la morte della madre assisteremo ad un profondo cambiamento del personaggio e soprattutto della suo rapporto con Kate che in questo momento è quanto mai precario perché quest’ultima, ancora una volta, ha scelto Alice e non lei.
Batwoman però non è uno show esclusivamente al femminile quindi questa recensione non sarebbe completa se non spendessi qualche parola anche su due personaggi maschili che sono comunque fondamentali per la narrazione.
Il primo è Jacob Kane (Dougay Scott), un personaggio che per certi versi si è rivelato sorprendente. A primo impatto appare come un padre rigido, incapace di relazionarsi con Kate, che pensa solo al suo esercito privato e alla vita che si è ricostruito. Sotto la superficie, però, troviamo un uomo distrutto dalla perdita della figlia, che cerca in tutti i modi di tenere lontana Kate dai Crows e da Gotham per evitare che si metta in pericolo e che, a modo suo, ha sempre tentato di sostenerla e di proteggerla. Il suo rapporto con Kate e il modo in cui si scontrano perchè lui non crede, forse perchè non vuole farlo, che Alice sia in realtà Beth, è una delle parti più profonde dello show. Entrambi lottano continuamente per riuscire ad avvicinarsi ma tutto quello che fanno è allontanarsi ogni volta di più. Sembra che per loro sia impossibile stare dalla stessa parte, anche quando hanno un obiettivo in comune, e il fatto che Jacob consideri i vigilanti, quindi anche Batwoman, come uno dei peggiori mali di Gotham, non fa altro che allontanarli ancora di più. È curioso, dunque, che nel midseason finale ad avvicinarli alla fine sia stata proprio la rabbia nei confronti di Alice, quando alla fine ciò che li ha sempre allontanati è stato l’amore per Beth, che entrambi non hanno saputo gestire dopo la scomparsa di quest’ultima.
L’altro è ovviamente Luke Fox (Camrus Johnson), figlio di Lucius Fox, custode della Wayne Tower e del costume di Batman in attesa che il cavaliere oscuro decida di tornare a casa, e ora unico vero alleato di Kate nella lotta al crimine di Gotham City. La dinamica tra i due è molto divertente e contribuisce ad alleggerire il tono dello show che, in generale, è piuttosto cupo anche se mai eccessivamente. Inoltre questa impostazione ha fatto sì che si creasse una solida amicizia tra i due in modo molto naturale, senza che quasi noi spettatori ce ne accorgessimo. Luke e Kate lavorano fianco a fianco e mentre imparano a consocerai si legano l’uno all’altra, diventando molto più che semplici collaboratori per il bene della città. In fondo Luke è l’unico a conoscere tutti i segreti di Kate ed è anche l’unico con cui lei possa confidarsi, mostrandogli anche le sue insicurezze sul ruolo da vigilante. Questo personaggio a prima vista potrebbe sembrare accessorio ma in realtà è molto utile e costituisce una parte importante della serie perchè, per ora, è l’unico vero ponte tra il mondo di Kate e quello di Batwoman.
Tirando le fila di questa interminabile disamina, quindi, Batwoman è uno show che si rifà allo stampo classico degli show CW sui supereroi, seguendo tutti gli stilemi del canone e dell’Arrowverse, ma lo fa adattandoli alla storia che vuole raccontare e ai personaggi che sono il vero cuore della serie. C’è un’idea forte alla base e soprattutto la volontà, ben visibile, di raccontare qualcosa che vada oltre il semplice viaggio dell’eroe che combatte per il bene della città e, ogni tanto, anche del multiverso. Batwoman è uno show che parla di donne che devono sgomitare in un mondo misogino per avere lo spazio che meritano; di persone omosessuali che ancora oggi devono lottare per essere accettate, come se poi dovessero chiedere il permesso a qualcuno per essere se stesse; di un’eroina e soprattutto di una donna imperfetta alla ricerca della sua identità; e che, ancora più in generale, racconta la ricerca di quell’equilibrio che permette di non sentirsi mai fuori posto e di cambiare, diventando la persona che si vorrebbe essere e non quella che gli altri si aspettano.
In attesa del ritorno di Batwoman di Domenica 19 Gennaio, vi lascio il promo del prossimo episodio.
Prima di lasciarvi vi invito a mettere mi piace a Parole Pelate, se non lo avete fatto, e poi a passare dalle nostre pagine affiliate.
Serie Tv News | Because i love films and Tv series | Film & Serie TV | I love telefilm & film ∞ | Telefilm obsession: the planet of happiness | Serie tv Concept | Crazy Stupid Series | Quelli delle Serie TV
Ed Infine un grande grazie alla nostra Amigdala per la grafica.
Pingback: Recensione | Batwoman – Prima Stagione (1×10 – 1×13) | parolepelate