Film

Recensione | Un giorno di pioggia a New York

Instancabile e sempre a lavoro su nuovi progetti, Woody Allen è riuscito quasi sempre a portare ogni anno una sua opera in sala, diventando un appuntamento fisso per tutti quegli spettatori che volessero entrare per un paio d’ore nella sua visione di vita, composta di jazz, malinconia e romanticismo intellettuale. A causa delle polemiche sulla loro vita privata, Allen e Polanski, per diversi motivi, sono stati censurati negli Usa e al momento, le loro ultime pellicole non sono arrivate in sala negli Stati Uniti. Boicottati per le loro azioni passate, i due geni del cinema appena citati, sono riusciti nonostante le feroci critiche molto popolari, a portare il loro sguardo nuovamente sul grande schermo e in entrambi i casi, ci saremmo persi due opere davvero notevoli. Erano solo due anni che Allen non ritornava al cinema e Un giorno di Pioggia a New York ha colmato quel vuoto, sperando che il suo cinema ridiventi un appuntamento fisso annuale.

Se avete familiarità con questo cineasta a tratti nichilista e pessimista, riconoscerete nel film in analisi quest’oggi, tutti i suoi stilemi e sarete trasportati ancora una volta nel luogo prediletto dal regista: Manhattan. A essere co – protagonisti della Grande Mela, due giovani innamorati che vorrebbero trascorrere un week end romantico, cercando di fare tesoro di ogni secondo per visitare e restare affascinati da ciò che può offrire la città che non dorme mai. Convinti che tutto fili liscio, i due fidanzati Gatsby Welles e Ashleigh Enright si ritroveranno più separati che mai, divisi dagli imprevisti che possono accadere quando si visita New York. Ingaggiata dal giornale dell’università per intervistare un importante regista, Ashleigh sarà travolta da un turbinio di eventi che impediranno qualsiasi interazione con il suo ragazzo Gatsby, sballottato da un luogo all’altro per occupare il suo tempo mentre la sua dolce metà è impegnata.

Ancor prima di vedere il trailer del film, sapevamo che Timothée Chalamet sarebbe stato perfetto come alter ego di Allen, difatti il giovane attore diventato noto con Call me by your name, ha il giusto physique du rôle e incarna alla perfezione l’archetipo del malinconico giovane che sogna una New York in bianco e nero, appassionato di jazz e vecchi film. Oltre al protagonista alleniano per antonomasia, ritorna la scelta tra due tipologie di donne che hanno sempre intrigato il cineasta dai tempi di Manhattan, da un lato la svampita ingenua affamata di conoscenza (Elle Fanning) e dall’altro la più intellettualmente matura e un po’ strafottente (Selena Gomez). Diviso tra le due ragazze, Gatsby Welles, non avrà vita facile e s’interrogherà su chi inseguire per essere più felice.

Un giorno di pioggia a New York è uno dei film più positivi di Allen che ritorna a farci credere nel destino manipolato dal caos e dalla fortuna, tematiche presenti nella sua filmografia e rese fondamentali in Match Point. Se in Cafè Society, il protagonista pur avendo una vita agiata, possedeva dei rimpianti fortissimi per ciò che aveva perso per sempre, Gatsby è allo  stesso tempo molto fortunato ad avere una famiglia alto borghese alle spalle, ma terribilmente triste per paura di essere l’ennesimo prodotto di una catena di montaggio che vuole a tutti i costi un ragazzo colto e sobrio, senza nessun vizio o mania peculiare. Da bravissimo sceneggiatore qual è, Allen con un solo monologo messo in scena dalla madre del protagonista, sconvolge lui e noi dandoci un ulteriore punto di vista sulla vicenda. Molto diversa dalla Manhattan fotografata da Gordon Willis, quest’ultima opera di Allen è illuminata da Vittorio Storaro che sceglie una gamma cromatica molto precisa e ci mostra una differente versione di New York, come sempre la più importante protagonista mai apparsa nel cinema di Allen.

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