Reali, credo che gustarsi con pazienza questa serie sia sempre la scelta più adatta. D’altronde che fretta c’è quando le novità o gli spoiler li possiamo vivere in “diretta”?
The Crown continua a non deludere, e la salda e attenta mano di Morgan ha saputo dare tutte le dovute attenzioni a questa serie che unisce con garbo veridicità e libere interpretazioni sulla famiglia reale ancora così tanto amata. Tutto si può dire, tranne che sia noiosa e cosa ci può essere di tedioso in una serie che ha fatto proprio del suo modo di raccontare un’arma vincente e avvincente. Ho sempre sostenuto che il tallone d’Achille di The Crown fosse la discontinuità. Ogni episodio effettivamente è a se stante, gli eventi da raccontare devono coprire un arco temporale pari, a volte, ad un decennio, tuttavia Peter Morgan, ideatore della serie, non si è mai limitato a documentare solo la storia o a romanzare i fatti; là dove l’evento storico rischiava di trasformare l’episodio in un documentario, Peter vi inseriva un dettaglio assolutamente personale, un punto di vista nuovo e interno alla casa reale. Un equilibrio così perfetto, tanto che il ritmo della serie forse riesce a rispecchiare a pieno l’immagine che abbiamo oggi di questa monarchia.
Conclusioni 3×04:
Atene 1967. I tre episodi che seguono sono quelli che a volte preferisco, hanno un unico e indiscutibile protagonista, in questo caso gli uomini di Buckingham palace.
Filippo, ritorna a mostrarsi in tutte le sue contraddittorietà. A volte rimpiango il principe di Edimburgo di Matt Smith, dallo sguardo birbantello e della lingua più velenosa che irrefrenabile. Tuttavia Tobias ha svolto bene il suo ruolo, ruolo preannunciato già dalla 2×10, dal discorso sulla fiducia e fedeltà di Elisabetta a un Filippo distante. L’ultimo fotogramma parlò chiaro. La famiglia riunita per una nuova nascita e foto, Lilibeth stanca con lo sguardo perso nel chiasso reale e Filippo marito finalmente presente al suo ruolo o a se stesso. Effettivamente Tobias prosegue su quella scia e sicuramente si basa su una sceneggiatura che ha tenuto conto proprio del punto di vista, pare, del principe ereditario Carlo (una sua personale biografia), anche se da numerosi fonti vicine al principe consorte, questo ritratto lo renderebbe eccessivamente ruvido. Tobias è una via di mezzo. Nonostante ciò questo Filippo così pantofolaio, non sembra più interessato a cercare spaspodicamente un proprio posto a corte, lo ha già, ma il problema resta il suo indelicato modo di mostrarsi al mondo, fiero di essere un non re. Durante un tour in Canada, viene preso di mira da John Armstrong (il Merlin dell’omonima serie), giornalista del The Gardian, che da buon americano punta il dito contro la monarchia, le sue antiche e obsolete usanze, e contro la sua stessa esistenza. Ironico come questo per l’intera puntata resterà un punto di vista più americano. Sapremo solo che il famoso documentario reale dove la famiglia svolge le sue solite mansioni tra un pic nic e l’altro, ha avuto un ottimo audience, ma questo poi verrà fatto sparire da qualsiasi emittente per essere trasmesso solo durante qualche festività natalizia.
Filippo si mostra un po’ più superficiale del solito, e a tratti ingenuo. Strano come lui nei panni reali si trovi meglio della moglie stessa. E qui entra in gioco sua madre, la principessa Alice. La puntata si apre proprio con lei ad Atene in un convento, intenta a salvarlo vendendo tutto ciò che le rimane del suo regale titolo. Risoluta, un po’ stonata, ma divertente, si dimostrerà appunto la santa reale. Il vero volto umano e alla mano di una monarchia che l’America non poteva capire e nemmeno lo stesso Filippo, radicato in idee e ideali abbastanza sorpassati. Effettivamente il documentario non è il punto focale dell’episodio, risulta imbarazzante per gli stessi attori che come una vera famiglia, a telecamere spente, si lamentano che in realtà loro non sono la famiglia della Mulino Bianco, che ognuno di loro guarda la televisione nel proprio castello, da soli. Castello a parte, qui c’è la morale della 3×07, anche i reali sono umani, ma devono rimanere ideali per ricoprire il ruolo che hanno. Morgan si serve del giornalista fittizio e del documentario, per mostrare quale fosse l’intento di Filippo.
Nessun John Armstrong ha mai scritto una recensione sul documentario, mai la principessa Alice ha rilasciato un’intervista con l’appoggio dell’oculata, con un basso profilo e senza pretese nipote Anne (tesoro di papà). Tante libertà, che sono state il mezzo per mostrare come a volte è la stessa monarchia ad ostacolare se stessa, sicuramente insicura in un periodo che le ha fatto perdere certezza.
Conclusioni 3×05:
Altro protagonista, il Lord Monuntbatten di Charles Dance. Questa terza stagione di The Crown è attraversata da un grande senso di stanchezza. Cercano tutti di rimanere a galla, di far finta che i tempi non siano cambiati, che il popolo acclami ancora i suoi re e regine, e invece, con la salita al potere del partito socialista tutto è cambiato.
Partirei dalla fine, dal dialogo tra Louis e sua sorella Alice. Effettivamente il cambiamento non si vuole accettare, non sono solo i tempi ad evolversi, ma anche noi che cerchiamo con insistenza di ricoprire gli stessi ruoli, quasi spaventati dal tempo che potremmo avere con noi stessi. È una lezione che Mountbatten impara presto. Non è più lo zio frizzante e invadente di un tempo, con Dance vediamo un suo lato però sempre brillante, sicuramente ancora ambizioso, ma molto passionale, nato proprio dal profondo amore che nutre per un paese che lo ha adottato. Splendite le 24h passate a studiare e l’esposizione del suo eccezionale quadro di un possibile colpo di stato. Se è possibile vorrei avere Mountbatten come insegnante di storia. Episodio questo spaccato in due, perchè in realtà ci sono due uomini preoccupati per il proprio paese, il primo è Lord Mountbatten che vediamo in tutta la sua grandiosità in divisa a inizio episodio, e fragile sulle sponde del letto della sorella; e il primo ministro Wilson, che oserei dire, quasi paonazzo, minaccia velatamente la regina e annuncia al paese della svalutazione della moneta, per poi quasi collassare (metaforicamente parlando) in seguito all’annuncio. In tutto questo rivediamo la regina con Porchey, il suo caro amico anche e soprattutto di cavalli e il suo immancabile desiderio di normalità.
Potrebbe sembrare l’episodio più sottotono, ma credo sia quello che più chiaramente voglia indicarci la via intrapresa dalla terza stagione: è inutile ancorarsi al passato e anche coi tempi che cambiano e l’età che avanza forse bisognerebbe diventare spettatori e non ostinarsi più ad essere partecipanti.
Meno male che tra incontri segreti e cavalli c’è Porchey che immancabilmente, e involontariamente, ci regala scene più romantiche tra i due consorti.
Il ritratto di Lord Mountbatten è degno del suo lignaggio, ed ho apprezzato come un uomo con un “semplice” titolo nobiliare abbia fatto le scarpe all’intelligenza ed esperienza di economisti, politici, ecc. Il suo straordinario discorso è una celebrazione della storia, che nonostante mostri come i tempi cambino per tutti, anche ora, nel loro presente c’è sempre un’unica persona che detiene un grande potere, una persona che si cerca di mettere da parte: la Regina.
Conclusioni 3×06:
Se Anne è stata una fugace presenza nella 3×05, mostrando però concretamente il suo carattere forte e a volte disdegnoso, la figlia che vorrebbe essere visibile, Charles non era neppure una presenza, ma solo una grande e sentita assenza. Tuttavia il rittratto del principe Carlo è quello più delicato e introspettivo tra tutti. Oggi siamo annebbiati dagli eventi degli anni ’90, abbiamo creato un’immagine accessivamente distorta dai gossip di un uomo di cui non sappiamo nulla. La sua non presenza nella serie, va dritta al punto e dimostra come Charles si sentisse: lui ha una voce, ma nessuno nemmeno la propria famiglia la vuole sentire.
Amare l’Elizabeth della Foy era facile anche nelle situazioni più avverse, a volte questa della Coleman, più vulnerabile, è difficile da comprendere, perchè la sua freddezza nei confronti del primogenito risulta solo cattiveria. Siamo nel ’69, il principe Carlo verrà incoronato principe di Galles, una strategia politica per attrarre quella fetta di popolo che non si sente suddito della corona. Carlo non ha scelta, viene convocato, messo alla cattedra come uno studente, riceve l’ordine e finita la seduta, tutti si dileguano. Nessuna madre o padre, ma una regina e un silenzioso consorte. Carlo è solo per l’intero episodio, triste, perso, ma che stranamente riesce a trovare conforto anche nella più buffa delle filastrocche e porta avanti egregiamente i suoi compiti. Simpatizza col suo tutor, Tedi Millward, che non solo gli insegnerà il gaelico, ma che forse gli darà quei consigli di vita che nessuno gli ha mai dato. Rispetto alla stagione passata, il Charles di Josh O’Connor è un ragazzo sì, sensibile, ma brillante, lontano dal bambino spaventato e amato solo dalla servitù della seconda stagione. Un quadro eccessivamente vittimistico, per un reale invece che ha conquistato numerose battaglie personali. La struttura dell’episodio è circolare, inizia con uno spettacolo teatrale, con l’impersonare da parte di Carlo un re. Un re, con una corona forse di cartapesta, alla quale affida i suoi più intimi pensieri come aveva fatto col discorso pubblico. È l’episodio in cui l’indifferenza della corona difronte al suo “futuro re” la possiamo accettare per non scadere troppo nella libera e romanzata interpretazione. Meglio non sapere cosa la Sovrana e il consorte pensano del figlio, ironicamente è preferibile assistere inermi alla solitudine di questo ragazzo così giovane al quale gli si cala un velo di tristezza di fronte all’amore espresso da due genitori, i Millward, al proprio figlio. Non si prova vera pena per Carlo, vediamo un ragazzo che ha nella sorella una fidata amica, che cerca di socializzare, che dopo dei giusti rimproveri prende più seriamente i suoi compiti. Effettivamente, reali a parte, è la descrizione di un ragazzo come tanti, una persona dolce, che fino ad ora non aveva trovato il modo giusto per esprimersi se non con la recitazione, e che avrebbe bisogno delle vere guide e non dei comandanti che gli impartiscano degli ordini. Per questo non lo compatiamo, lui non si piange addosso, non è schivo, lo capiamo soltanto. Un ritratto così vicino a Filippo, ma allo stesso tempo per le reazioni, assolutamente distante.
Lascio alle parole del principe ciò che abbiamo provato con questo episodio, dalle battute di apertura e chiusura della rappresentazione, dal passaggio di parole solenni, di facciata, a quelle di un uomo fatto di carne sulla sui testa c’è il peso di una futura corona:
La vuota corona che cinge le tempie mortali di un re
tiene corte la morte e là si insedia……io vivo di pane proprio come voi
provo desideri, assaporo il dolore
ho bisogno di amici
così asservito come potete voi venirmi a dire che sono un re…
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Quando Carlo ha espresso chiaramente davanti alla madre “Io ho una voce!” mi è scattato subito il parallelismo con il film “Il discorso del re”, che è (idealmente parlando) il prequel di questa serie. In effetti, ripensandoci, se Carlo avesse fatto in tempo a conoscere suo nonno (morto quando lui mi pare avesse 3-4 anni) credo che avrebbe avuto un buon termine di paragone e forse qualcuno in grado di comprenderlo meglio, dato che, per come l’ho vista io, sono figure simili e allo stesso tempo molto diverse: sono entrambi ritratti come due personaggi schivi e a tratti insicuri che, consapevoli del proprio ruolo, cercano di fare del loro meglio. Ma se Giorgio VI ha fatto in tempo a condurre una vita normale (nei limiti di un reale) per poi divenire quasi di punto in bianco il re di rimpiazzo in seguito al trauma dell’abdicazione di suo fratello, Carlo di contro si ritrova investito di questa immensa responsabilità praticamente da quando è nato, venendo trattato di conseguenza da un padre severo e da una madre sparita dietro alla corona “uccidendo la madre, e permettendo alla regina di nascere” (mi è ripartita anche questa insieme al Rains of Castamere interiore).
Nota a margine: se due stagioni fa una ancora inesperta Elizabeth ha finito per rimproverare uno che quando è stato il momento non ha avuto paura nemmeno del Fuhrer, vederla affrontare il Vecchio Leone rimettendolo a cuccia è stato a dir poco epico!
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