Reali, l’attesa per una season3 di The Crown è stata molto lunga, non di certo paragonabile a quella che l’attuale principe ereditario, Carlo sta vivendo da quando è nato. E la nostra pazienza ha più volte vacillato alternando momenti di stabilità e impazienza al pari di una normalissima giornata da principessa di Margaret.
A niente sono valsi i risvolti più recenti dell’attuale famiglia reale che ha visto l’entrata in famiglia dell’attrice americana di Suit, Meghan Markle e il primogenito del principe Harry, Archie.
Noi volevamo solo il ritorno della nostra amata Lilibeth, anche se con un volto differente.
La serie più acclamata e apprezzata dalla critica, vincitrice di numerosi premi grazie all’interpretazione di Claire Foy e John Litghow, continua a mantenere il suo scettro di serie di qualità su Netflix. La serie televisiva storico-drammatica, creata e scritta da Peter Morgan, e prodotta dalla Left Bank Pictures e dalla Sony Pictures Television, sembra non aver accusato troppo il colpo del cambio di cast e del salto temporale. Questa rischiosa scelta poteva portare al successo, come al declino della miglior serie sulla vita di Elisabetta II del Regno Unito e la famiglia reale.
Conclusioni 3×01:
Siamo nel 1963, non poi così lontani dalle ultime vicende trattate nella seconda stagione. Allora perchè la scelta di un cast così maturo? L’unica risposta che riesco a darmi, è che sia una decisione ben studiata per i prossimi salti temporali che nella successiva stagione forse arriverà a toccare anche gli anni ’80.
Prevenuta per il cambio del cast, perchè il precedente ha dato un’interpretazione unica ed eccellente, ero allo stesso tempo curiosa di conoscere “la nuova guardia“, dato che la scelta è ricaduta su nomi molto noti e premiati non solo nel firmamento telefilmico, ma proprio ad Hollywood. Tuttavia questa volta la Coleman e co. avevano un compito molto più arduo: interpretare un doppio ruolo, il proprio e quello su cui già aveva lavorato il loro predecessore.
Proprio su Olivia Coleman, cha ha fatto recentemente incetta di premi, tra cui un Oscar, per la sua Anna di Gran Bretagna, ne La favorita, avevo delle perplessità. Per la Elisabetta più giovane è stato scelto un volto molto dolce, dai grandi occhi azzurri espressivi, Olivia ha dei tratti differenti, forse meno delicati, e soprattutto lontani dalla vera Elisabetta. Perciò la domanda mi è sorta spontanea, basterà la sua bravura a convincermi? Al momento è un sì. Soprattutto nella 3×01, Olding (lo pseudonimo sotto cui Wilson avrebbe lavorato per il KGB), ha cercato di mantenere una continuità con la Regina della Foy. Composta, sincera in presenza del marito, una figura consolante, che tuttavia se tradita, non soffre in silenzio. Dopo questo primo ingresso, la Coleman diventerà sempre più austera negli episodi seguenti, proprio a segnare un’era differente e la sua maturazione di donna e Regina. Anche lei punta molto sullo sguardo, ora però molto spaventato per i tempi che cambiano e per questa corona che sopra la sua testa vacilla a rimanere salda. È difficile interpretare un personaggio nuovo, ma che al contempo non può perdere il suo passato che è stato brillantemente interpretato da un altro attore. Un ruolo che non sarà mai solo suo. Olivia Coleman è il membro del cast che meglio esprime questo disagio, sfruttando a pieno i tempi che cambiano di un regno che vede salire al potere il partito socialista di Harold Wilson, dopo ben 13 anni all’opposizione.
La prima puntata ci introduce al cambiamento in tutti i modi possibili, primo fra tutti il cambio di immagine anche sui francobolli.
“Dobbiamo solo accettare”.
Parole chiare, per un pubblico sospettoso. Proseguendo poi con un veloce confronto tra Elisabetta e lo storico d’arte di palazzo, su quale fosse l’epoca in cui si trovassero: “Modernissima?“. Sintomo che qualcosa nell’aria sta cambiando.
Ho trovato questo episodio quasi divertente, strutturalmente vicino alla seconda stagione, dove il gossip ha fatto da padrone. I parallelisimi tra una o due storie/personaggi non mancano mai, e questa volta non riguarda, all’inizio, membri della famiglia reale, ma qualcuno fuori e vicino alla loro cerchia. Il nuovo primo ministro Harold Wilson, e il perito d’arte di Buckingham palace, Anthony Blunt. Se potessi fare un cenno alla letteratura inglese, l’impostazione di queste vicende, mi ha riportato alla mente Persuasione, l’ultimo romanzo di Jane Austen. C’è una rete di pettegolezzi, storie passate di bocca in bocca che arrivate ad Elisabetta, un po’ credulona, o semplicemente spaventata dalla salita al potere di un partito opposto alla monarchia, assumono la forma di una verità, forse sperata. C’è un’opera di involontaria persuasione attuata in primis da un sempre complottista, ma molto pantofolaio Filippo. Wilson effettivamente non è né caldo, né freddo, né carne e né pesce eppure i pettegolezzi raccontano un’altra storia, anche Winston Churchill, sul letto di morte, confida alla Regina che avrebbe dovuto tenere d’occhio quest’uomo che gli chiese di fare un viaggio in Russia. Eppure come per la Elisabetta II, anche la nostra prima impressione su Wilson è fredda e quasi rassicurante; non abbiamo davanti una mente oscura, ma solo un uomo che si trova più a suo agio con i numeri. Siamo stati persuasi a costruirci una determinata immagine.
Questa confusione, questo situazione di impasse viene spezzata da due eventi, la morte di Winston Churchill e i suoi funerali e la confessione di Michael Straight, ex agente sovietico.
John Litghow è uno dei pochi volti familiari che ci era rimasto, l’ultimo elemento di congiunzione col passato per noi pubblico e per la Regina. Se n’è andato con tutto l’affetto che Elisabetta poteva nutrire per lui. Una guida, per una donna che continua a sentirsi persa. Da questo momento in poi lo scudo della Regina si innalza ancora di più. E così alla morte di un grande uomo, che si è dedicato anima e corpo alla Gran Bretagna e alla regina, ne emerge un altro che l’ha tradita sotto i suoi occhi. Splendido il suo arresto: non ascolteremo mai la sua confessione, The Crown non farà mai uscire dalla bocca dei suoi interpreti parole non ufficiali. Ci saranno supposizioni, sguardi o immagini che parlano da sè, ma quello che Peter Morgan fa è affidare ad un’allegoria la propria risposta. Blunt presenta L’allegoria della verità e del tempo di Annibale Caracci. Nel quadro la verità è calpestata dall’inganno. Ecco la nostra confessione, ecco il riassunto del primo episodio della terza stagione. E qui scatta il secondo paragone tra Elisabetta e Blunt: due diverse versioni della stessa persona. Parole che possono benissimo essere adattate ad entrambi i personaggi, allo storico d’arte, ex spia sovietica del KGB, e alla “nuova” regina. Se del primo si può parlare di palinsesto o meglio pentimento, per la seconda si parla di evoluzione. È cambiata nell’aspetto, ma non nel modo di pensare ed agire. La società sta cambiando e forse anche lei dovrebbe stare al passo coi tempi.
Piccole note per gli altri membri del palazzo. Tobias Menzies (noto recentemente per Outlander), come duca di Edimburgo, è il più sottotono. Ha perso completamente la sua verve ironica, ma non quella critica e velenosa. Conservatore nel midollo, tanto da sfidare Blunt e uscirne sconfitto alla minaccia dello scandalo Profumo. Spero che questa fase presto finisca, nel complesso, vederlo così supportivo nei confronti della moglie, ci fa sentire meno inquieti sul fronte sentimentale. Per Helena Bonham Carter, per il momento credo che abbia dato un’interpretazione di Margaret sicuramente meno frivola ed egoista della precedente più giovane.
Conclusioni 3×02:
Si ritorna al 1943, agli albori del confronto (?) tra le due figlie di re Giorgio VI: Elizabeth e Margaret. La numero uno e la numero due. La Regina e la Principessa. Capisco il grande amore per Vanessa Kirby e la sua sublime interpretazione di “una donna con l’indole da numero uno, nata numero due“, ma l’interpretazione di Helena è adatta a quella di una donna ormai adulta, piena di insicurezze, che non riesce a trovare un suo posto a palazzo perchè desidera insistentemente qualcosa che non sarà mai suo. Se con l’aspetto giovane e fresco le abbiamo potuto far passare le sue manie di protagonismo, i suoi eccessi e la sua prepotenza, sulla soglia dei 40 e oltre i suoi sbuffi e lamantele, non sono ben accette. Non negherò di non aver mai nutrito una grande simpatia per questo personaggio. Credo che anche qui, calzi a pennello un’analogia, che ho già utilizzato, a tema Austen: Ragione e Sentimento. L’errore in cui si cade con questo romanzo è che la ragione sembri una virtù della sorella più ordinaria e coscienziosa, Elinor, e il sentimento della sorella più passionale, Marianne. Mai lettura fu più errata. Entrambe le sorelle hanno sentimento e ragione, ma si esprimono in modi differenti che agli occhi di ognuna sembrano errati.
Lilibeth ha un ruolo che non voleva ricoprire fin da bambina, ma lo svolge egregiamente. Che non sia priva di sentimenti lo scopriremo meglio nella 3×03, ma la sua impassibilità non è sintomo di mancanza di passione. Al contrario Margaret è travolta da mille sentimenti che non riesce a tenere a freno o incanalare e che per quanto la mostrino agli occhi esterni come più piacevole, alla moda ed estroversa, denotano una grande fragilità, una mancanza proprio di stabilità che si ostina a ricercare nelle attenzioni del pubblico perchè convinta che ciò che gli manchi sia la corona. Ho apprezzato l’interpretazione più stanca della Carter. È sempre Margaret, organizza e partecipa a feste, si trasforma nell’atttrazione principale, ha trovato da sposata un suo, precario, equilibrio, senza dover continuamente umiliare a parole la sorella considerata causa di tutti i suoi mali. Elisabetta non è esente da colpe, e dopo la conclusione di questo episodio, meno che mai, ma la corona non può essere data ad una donna che vuole solo appagare la propria vanità. Dal matrimonio sembra invece che sia profondamente cambiato Antony, ora interpretato da Ben Daniels. L’episodio del loro matrimonio (2×08) è essenziale per capire l’anima di questa coppia. Un unico fotogramma che li ritrae arrivare separati in chiesa, non vedremo altro, se non le loro vite distinte, i loro personali tormenti che si uniscono in matrimonio. Se Antony, però, ha trovato al momento una sua personale dimensione lontano dagli eccessi, Margaret, non ha smesso di cercare attenzioni, è solo un po’ più stanca di tenere quell’atteggiamento sempre ribelle, o forse è solo annoiata. Nonostante sia Margaret-centricolo questo episodio (Margaretology), il punto finale viene sempre posto dalla Regina. Il Tour negli Stati Uniti della Principessa fu un gran successo, nonchè teatro d’appagamento per l’eterna seconda. Interessante come fino ad ora nessun presidente americano ne è uscito con un’immagine lusinghiera; questa è la volta del presidente Johnson, 36° presidente degli Stati Uniti d’America. Un uomo sfrenatamente ambizioso, apparentemente più rozzo di Kennedy che sfida la Gran Bretagna, o meglio Wilson, per non averlo appoggiato nella guerra in Vietnam, rifiutando l’invito della Regina. Chi meglio di una personalità come quella di Margaret, così affine a Johnson, poteva ingraziarselo? Anche questa volta è apprezzabile che la serata alla Casa Bianca sia stata descritta dalle parole di altri, e quindi nel nostro immaginario possiamo anche credere che siano state esagerate. Anche perchè da alcune fonti attendibili, pare che l’immagine della principessa Margaret sia stata sempre dipinta con toni forse troppo accesi.
Questo viaggio però ci fa dare una sguardo fugace alla vita coniugale dei conti di Snowdon. Si sono allontanati, pare che Antony sia diventato un po’ troppo intollerante agli sbalzi della moglie tra frivolezza e formalità, però poi in seguito alla promessa di Margaret di lasciare a New York i riflettori puntati sul marito, non ne sappiamo più nulla. Probabilmente, se la storyline è ritornata su Margaret, la promessa non è stata affatto mantenuta.
La principessa ci prova, ci ha sempre provato ad avere un suo posto a Buckingham Palace, perchè essere principesse è difficile, ma non ci riesce, non solo per la sua instabilità nell’accettare di non essere Regina, ma nel freno che quest’ultima le ha messo. L’episodio si conclude così come si era aperto, con l’illusione che Elisabeth conceda qualcosa alla sorella, e con la finale indifferenza di questa. Il dialogo tra le due sorelle, non ha il sapore di famiglia, soprattutto per il terrore di perdere il posto che si legge negli occhi di Lilibeth. Margaret invece sembra più umana, finalmente trova i toni giusti per rivolgersi a sua sorella e quasi riesce nell’intento se Filippo non avesse interrotto questo momento. Non sapremo mai se Margaret abbia fatto quella richiesta perchè convinta delle sue capacità o assetata di fama. Tuttavia il principe di Edimburgo, il vero grande secondo, taglia la strada alla cognata o per qualche rivalità insita in lui, o per qualche bislacca idea conservatrice. Accanto ad un re/regina ordinario ci sono queste figure pericolose che devono essere tenute a bada. Lo sguardo di Helena/Margaret in giardino parla magistralmente da solo: la speranza che si tramuta in delusione. Erano anni che Margaret non accoglieva con quello sguardo la sorella, ora alla sua toilette solo il vuoto la pervade.
Mai come in questo episodio ho potuto simpatizzare per l’eterna seconda, non condividendo l’ossessivo complesso di inferiorità di Elisabetta II. Effettivamente Margaret resterà una risorsa per la corona mai sfruttata. Ed è proprio da qui che si aprirà la strada ad un altro argomento spesso trattato: la mancanza di empatia della Regina.
Conclusioni 3×03:
“Did I weep?
What kind of question is that?”“Just a question. Did you weep?”
“I might have wept, yes.
Are you going to tell me it was inappropriate?
And the fact is, anyone who heard that hymn today would not just have wept. They would have been broken into a thousand tiny pieces.”
L’episodio 3, è un ritorno in grande stile alla prima stagione, a quelle puntate in cui la storia è la protagonista e la vita dei reali più amati di sempre è un ricco contorno. Aberfan, Scozia, Giovedì 20 ottobre 1966. La calma prima della tempesta. Assistiamo ad una ordinaria lezione nella scuola elementare Pantglass ai piedi della montagna. Il giorno dopo, una forse non così inaspettata frana cambierà la vita di questa tranquilla cittadina scozzese. In seguito alle incessanti piogge dei giorni precedenti, la enormi quantità di carbone, più di 230mq, si trasforma in liquame, rendendo i pendii della montagna instabili e provocando una frana che causerà 144 morti di cui 116 bambini.
La storia viene scandita in giorni che a volte sembrano eterni. Morgan anche in questa occasione calca la mano, e per rendere più tragico l’evento, ci mostra momenti sereni e pieni d’affetto di queste famiglie di minatori, tra canti dei bambini e tanti momenti padri/madri-figli. Già con i lunghi flashback sul passato di Filippo, eterni gli attimi in cui la sorella perde la vita, ci eravamo passati. Tuttavia queste libertà trovano bene il loro spazio, riuscendo nell’intento e creando una crecente tensione e attesa. Questo episodio è la risposta a quello precedente. La sovrana è davvero così poco empatica? Con qualche libertà di troppo, viene ben mostrato il più grande rimpianto della regina che si recò sul luogo dell’incidete parecchi giorni dopo. Nemmeno l’Elisabetta della Coleman ci darà una risposta a questa scelta. Io l’ho voluta interpretare così: umana paura di non saper che fare e/o come reagire. Non si tratta di apparezza, se fosse stata una sovrana meno umile sarebbe subito accorsa e si sarebbe mostrata alla stampa. Elisabetta rifiuta più volte di fronte alla richiesta del primo ministro. La corona non si mette in mostra e resterò sempre fedele a questa idea, tuttavia in un’epoca in cui la Regina era più un’istituzione che un vanto o un mezzo per ricavar guadagno, questa presa di potere avrebbe dovuto piegarsi prima. Lo strazio di quella tragedia anche questa volta ci viene raccontata da altri, prima dal primo ministro Wilson che tempestivamente si presenta sul posto e assistiamo alla prima scene straziante, tutto il paese immobile al fischio che un altro corpo è stato trovato. Poi attraverso il racconto di Margaret tramite un Antony sempre più diverso e alla ricerca quasi di una missione, splendido quel momento in cui chiede alla moglie di dare un bacio da parte sua ai figli. E infine Filippo, che con i suoi modi burberi assiste al canto di un intero paese che è in lutto. Tutti punti di vista maschili, tutti differenti, lo stupore e la lenta consapevolezza che quanto sia successo sia più grave di quel che appare (Wilson), la pietà e la compassione (Antony), e la rabbia (Filippo). Nonostante ciò, questo non ci basta a darci un quadro più intimo. Spinta dalle male lingue, la Regina si reca sul luogo della catastrofe.
Aberfan è il posto in cui la sovrana è ritornata più volte di tutti gli altri reali. Voglio credere che come donna e madre, questo evento l’abbia scossa.
Illuminante il confronto nel suo salotto personale con il primo ministro, un uomo dalle mille risorse, non di polso come il compianto Churchill, e non diretto come i suoi predecessori, ma rassicuramnte, che impartirà alla fragile donna davanti a lui una lezione: bisogna essere accessibili, anche se una sovrana non emotiva è la cosa più utile che possa avere il suo popolo. Bisogna attenuare più crisi di quelle che si creano.
Aberfan è un episodio che sconbussola, si apre con una calma apperente di cui siamo a conoscenza, raggiunto il culmine si avvicendano tanti, troppi sentimenti, che sono non solo lo specchio di un popolo deluso, abbandonato e ora decimato, ma anche di una donna che nel suo privato esterna le sue sincere emozioni.
Grandi assenti di queste prime tre puntate sono i figli dei reali oltre che il duca di Edimburgo che si fa eclissare, praticamente da tutti. Ottimo inizio, che non dimentica il passato, ma ha bisogno di guardare al futuro. Come sempre, impeccabile fotografia e verosomiglianza coi costumi originali. Si racconta una storia vera che non ha ancora una fine, tuttavia ci si discosta quanto basta per arricchirla e renderla adatta allo schermo, senza alterarla.
P.S.
Esileranti le scene con Helena/Margaret e la Regina Madre, come un dejavù (Il discorso del re).
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Ho notato che gli americani in generale in questo show non fanno una gran figura (guardare i prossimi episodi per capire!). Ma certamente il vecchio Lyndon Johnson fa davvero la sua porca figura nel ritrarre il classico texano grezzo e volgare che ce l’ha con Wilson per non averlo appoggiato in Vietnam (chiamalo scemo!), sente un grande complesso di inferiorità nei confronti del suo fin troppo brillante (e a mio parere fin troppo sopravvalutato) predecessore e anche delle pompose figure istituzionali inglesi, motivo per cui con Margaret trova un punto di incontro che personalmente ho trovato esilarante, sia pure con una punta di disagio.
Spero solo che diano più spazio a Snowden, soprattutto quando si arriverà alla fine del loro già scricchiolante matrimonio. Lo dico anche perché secondo me Ben Daniels è un ottimo attore che però non ha la visibilità che meriterebbe.
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Lo Snowden di Daniels è molto a fuoco e perciò piacevole da vedere, mi aspetto che sul finale abbia più spazio perché mi incuriosisce capire cos’è cambiato in lui, qual è il suo attuale rapporto con Margaret.
Sono al sesto episodio, e gli americani continuano a sembrare un branco di creduloni e a volte volgarotte persone di provincia. Però alla fine questo è un punto di vista inglese…
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