Film

Recensione | The Irishman

Alle domande frequenti sul perché finire la sua carriera registica al decimo film, Tarantino ha risposto che vorrebbe avere un controllo totale sulla sua filmografia e non essere trasportato dalle proposte future in grado di poter compromettere il disegno del suo lavoro. Alla luce di questa scelta discutibile, è molto interessante osservare come Martin Scorsese, sembra voler concludere definitivamente due filoni filmici molto importanti nella sua filmografia. Silence e The Irishman sono a loro modo il sipario su ciò che aveva interessato il cineasta fin dalla sua adolescenza: la religione e i gangster, perché come Scorsese ha sempre affermato, le scelte nella Little Italy degli anni cinquanta erano pressappoco due, diventare prete o percorrere la strada della malavita.

Lui optò per diventare regista ma quel bivio è sempre stato presente, da L’ultima tentazione di Cristo a Quei Bravi Ragazzi, il cineasta ha più volte esplorato la spiritualità e le azioni dei gangster, tuttavia non più nel fiore degli anni, Scorsese ha probabilmente il desiderio di tornare a parlare in modo approfondito di quelle tematiche che l’hanno contraddistinto, soprattutto adesso che ha ancora la forza di farlo. Se Silence era il capitolo conclusivo sul pensiero religioso – spirituale, The Irishman è la summa del filone gangster in cui sono presenti gli storici collaboratori del cineasta italo – americano, ossia Joe Pesci e Robert De Niro. Fra tradimenti, amicizie impossibili e intrighi di potere, il film nelle sue tre ore e mezza viaggia nel tempo ripercorrendo eventi storici significativi, mettendo in scena grazie al ringiovanimento digitale, il punto di vista dei personaggi su tali accaduti.

Il materiale da cui è tratto The Irishman è molto nelle corde di Scorsese, gli attori celebri che hanno contribuito a rendere grande il suo cinema ci sono, ma ritornare a quei fasti è davvero arduo. La vicenda coinvolge il boss Russell Bufalino, il veterano Frank Sheeran e il capo del sindacato Jimmy Hoffa, i quali si ritroveranno a collaborare tra loro, ma ben presto qualcuno del trio di protagonisti commetterà delle irregolarità e l’amicizia che sembrava legare indissolubilmente Frank e Jimmy sarà messa a dura prova. Il film arranca sempre e non trova quel respiro che contraddistingue il racconto scorsesiano, le minacce e le cospirazioni si susseguono senza avere un punto di vista potente, ma il difetto peggiore si trova nella stanchezza del tutto, dalle azioni violente di De Niro che non hanno più quell’efficacia per via della sua età, alla sceneggiatura che si limita a pochissime interazioni meritevoli che sono pur sempre interpretate da ottimi attori.

La scelta di Tarantino nel chiudere la sua carriera nel totale controllo forse non è una scelta così malvagia, difatti è un dispiacere osservare come un genio del cinema sembra voler dare una fine a ciò che lo ha reso grande, in special modo se la fattura di quest’ultime due opere non si avvicinano minimamente ai capolavori che ancora oggi riguardiamo con estremo piacere. The Irishman non è un’opera malfatta e i momenti di cinema preziosi non mancano, tuttavia dagli attori in primo piano al regista stesso, si avverte solo il ricordo invecchiato di quel cinema straordinario, mentre il presente è molto più scialbo e rassegnato. The Irishman inoltre investe tutto sui suoi attori maschili e si dimentica del punto di vista femminile che solo a volte appare, ma non ha un ruolo di rilievo nella pellicola, lasciando che Al Pacino, Joe Pesci e De Niro si facciano carico delle tematiche che noi tutti conosciamo nel cinema di Scorsese, dalla colpa alla redenzione. Non è assolutamente un problema riproporre argomenti già trattati, è il come ad essere fondamentale e The Irishman pur avendo tantissime similitudini con i capolavori citati nel corso della recensione, è lontanissimo da essi.

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