In netta contrapposizione con gli ultimi lungometraggi Disney che riflettono su famiglie che si sfaldano, protagonisti ribelli che fuggono dal nido genitoriale, Il Re Leone ricorda quando la Disney era certa che la famiglia tradizionale fosse il miglior modo in cui crescere. Rifacendo il film del 1994, Jon Favreau sconvolge subito lo spettatore con delle immagini che sembrano provenire da un documentario del National Geographic, restituendo un’atmosfera complessiva così realistica che stranisce il parlare dei personaggi, anch’essi privi ovviamente di tutte quelle giocose espressioni umane presenti nel film originale.

Con questo progetto ambizioso di far tornare in auge i classici Disney tanto amati, gli approcci a messa in scena e racconto sono essenzialmente due: riportare inquadratura per inquadratura, scena per scena, il prodotto originale o cercare un’evoluzione per immergere gli spettatori, in qualcosa che ricordi il presente e tutte le sue dinamiche. Il Re Leone, uscito nelle sale il 21 agosto, segue più la prima scelta nonostante ci siano delle differenze che abbracciano la contemporaneità, una fra tutte la componente femminile. Così come la Jasmine del recente Aladdin diretto da Guy Ritchie, anche Nala non è più solo la parte sentimentale, ma anche lei ha un ruolo meno superficiale. Entrambe sono specchio del women power in costante crescita, di un discorso che porti la parità all’interno del prodotto audiovisivo, dimenticando quell’abitudine approssimativa di scrivere il personaggio femminile in funzione del partner maschile.

Come già accennato, la computer grafica è davvero potente e amplifica alcune sfumature del racconto originale che non erano così efficaci, tuttavia tale componente visiva così foto realistica è un’arma a doppio taglio. Se da un lato, le sequenze più dark della narrazione guadagnano moltissimo, difatti sia Scar sia le iene hanno totalmente perso quell’aria infantile che poteva strapparci un sorriso, anche in situazioni piuttosto drammatiche. La visita al cimitero degli elefanti è il perfetto esempio di tale stravolgimento percettivo, quegli animali che vediamo non hanno più le fattezze umane e il tutto ne guadagna in paura e spavento. Dal versante opposto invece, la commedia funziona poco perché non è supportata dalle stesse espressioni facciali, inoltre anche la sequenza della morte di Mufasa soffre molto il confronto con l’originale per lo stesso motivo.

Pur avendo qualche difetto per via dell’impostazione visiva quasi obbligatoria dato il live – action, il prodotto originale è davvero intenso e finisce anche per esserlo il film di Jon Favreau, completamente un altro tipo di esperienza cinematografica rispetto al meraviglioso Re Leone del 1994.
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