Ciao a tutti e bentornati nel mondo di The 100.
Non so quali siano stati i vostri pensieri al termine della nuova puntata; a me sono serviti diversi giorni per metabolizzarla e trovare il coraggio di scrivere. Sono due le parole che associo alla 6×09 e che voglio usare per addentrarci in questa recensione: perdita e ritorno. Due termini in qualche modo opposti che racchiudono tutto ciò che è successo durante la puntata. I filoni narrativi di questa settimana sono tre, quindi andiamo con ordine, partendo da Clarke e Bellamy.
Nel recap avevo detto che sarebbe stato interessante vedere le interazioni tra i due, ed effettivamente le mie aspettative non sono state deluse. Tutte le volte che vedo Josephine/Clarke vivo le stesse emozioni di Bellamy: da una parte vorrei ucciderla, perchè Josephine è odiosa, arrogante, megalomane e terribilmente conscia di quanto potere abbia il suo nome (la cosa bizzarra è che questi sono anche i motivi per cui la adoro), ma dall’altra so che quello è il corpo di Clarke e che, se morisse, sarebbe la fine per entrambe. Bellamy vede Clarke e sa che quella non è lei, vorrebbe combatterla ma non può per non ferire l’amica.

La loro interazione più bella è senza dubbio quella in cui Josephine parla a Bellamy del suo rapporto con Clarke. Non le ci è voluto molto per capire quello che noi sappiamo da anni: la loro relazione è complicata, fatta di odio prima e amicizia poi, di abbandoni, ritorni, scelte condivise che hanno avuto un peso diverso sulle loro anime, il fardello della leadership. Clarke e Bellamy si sono persi e ritrovati tante volte, anche quando pensavano che a separarli ci fosse la morte. Bellamy ha già sperimentato il dolore provocato dalla dipartita di Clarke, quando si è sacrificata durante il Praimfaya, e non ha intenzione di separarsi di nuovo da lei. Ovviamente, non essendo Jason il tipo d’uomo che ti offre cose belle senza chiedere qualcosa in cambio, subito dopo che Josephine cede il controllo a Clarke per fare in modo che Wanheda salvi tutti e tre, dobbiamo assistere a una nuova separazione della Bellarke. Il fatto che Octavia senta il messaggio che Clarke manda a Gabriel, in ogni caso, mi fa sperare in una riunione dei fratelli Blake che si prospetterebbe molto emozionante, specialmente dopo ciò che succede alla ragazza in questa puntata.
Il secondo filone narrativo riguarda proprio la giovane Blake. Incitata da Gabriel, che vuole scoprire cosa si cela dietro l’anomalia, si presta a un piccolo esperimento e si fa somministrare un siero che le permetterà di portare a galla i ricordi sepolti nel suo inconscio. Purtroppo per Gabriel, però, quello che accade nella mente di Octavia è molto diverso da quello in cui spera lui. La ragazza viene assorbita nelle memorie di ciò che è successo mentre era nel bunker, di tutto quello che ha fatto per mantenere il potere, del sangue di cui ha sporche le mani. Nel corso della serie, Octavia ha subito tante evoluzioni quante involuzioni. Il suo personaggio è passato da ingenuo a forte, da fragile a guerriero. Quasi tutti questi accadimenti si sono susseguiti in maniera graduale, in modo da mostrarci la sua crescita. Tuttavia, il punto di rottura avviene in un momento preciso e brevissimo, quello in cui uccide Pike per aver sparato a Lilcoln.

In quell’occasione, mentre pugnalava un uomo che stava, in qualche modo, cercando di redimersi, ho sentito la sua anima frantumarsi in mille pezzi. Come se fosse uno scherzo del destino è proprio Pike ad accompagnarla in questo percorso onirico, mostrandole il ricordo della morte di Lilcoln, il primo ad aver visto la forza e il coraggio che si nascondevano dentro quella ragazza che inseguiva le farfalle nel bosco. Ed è sempre Pike a porla davanti alla sua più grande paura, la parte peggiore di lei. Diverse volte ho pensato che sarebbe giunto il momento, per Octavia, di lasciarsi alle spalle Blodreina e il bunker: speravo che succedesse o che morisse, perché le opzioni erano ormai esaurite. Da quando ho trovato questa foto sul web, ho sempre voluto un vero e proprio confronto tra i due lati di Octavia, ma non lo ritenevo possibile e non pensavo che sarei stata accontentata.

Vedere la giovane Blake uccidere Blodreina e tutto ciò che ha significato e significa ancora, è stata un’immensa soddisfazione. Non mi aspetto di vederla tornare a pieno titolo nel gruppo, almeno non entro la fine della stagione, e non sono nemmeno sicura che sia ciò che Octavia voglia. Ha ancora tanta strada da percorrere prima di potersi considerare del tutto redenta, e adesso che è riuscita a perdonare se stessa e a darsi una seconda possibilità, ha bisogno più che mai di ricongiungersi a Bellamy.
Ed eccoci arrivati al terzo filone narrativo di questo episodio.
Non so voi, ma io sono in lutto.


Come avevo scritto nel recap, sapevamo tutti che Kane non avrebbe accettato di vivere in un corpo rubato a qualcun altro. Se all’inizio c’era un barlume di indecisione nei suoi occhi, alimentato da Abby, nel momento in cui vede la moglie del suo ospite quella luce si spegne definitivamente. I segni che avevano reso Marcus Kane l’uomo che era sono svaniti. Al suo posto c’è un corpo giovane, bello, perfetto ma svuotato, che non riconosce come suo.
Parlando di ritorni assistiamo al risveglio di Indra, per il quale dobbiamo ringraziare Raven, che è finalmente scesa dal piedistallo di superiorità su quale si era posta. Stavo, in effetti, cominciando a preoccuparmi che non l’avremmo rivista prima della settima stagione. Kane, insieme alle due donne, decide infine di sacrificarsi e di espellere il siero per impedire ai Prime di creare altri Nightblood. Abby si trova quindi ad affrontare, per la seconda volta nella sua vita, l’espulsione dell’uomo che ama, perfettamente consapevole di avere le mani sporche del suo sangue. Conoscendo Marcus avrebbe dovuto sapere come sarebbe andata a finire, ma il desiderio di averlo al proprio fianco e di ridargli la vita che meritava è stato troppo forte. Fino alla scorsa puntata pensavo che l’anomalia sarebbe in qualche modo riuscita a curare il corpo martoriato di Kane, speranze che si sono estinte nel momento in cui ho scoperto che Henry Ian aveva lasciato il cast. In un certo senso ho preferito che le cose siano andate in questo modo: non avrei sopportato di vedere quel meraviglioso personaggio relegato a un volto che non è quello di Henry. Kane è ciò che è anche per l’espressività degli occhi del suo interprete. D’altra parte, però, resto convinta che The 100 avesse ancora bisogno di un’uomo del suo calibro, qualunque fosse il corpo. Alla fine dei conti, di una cosa sono contenta: nella straziante scena finale ci hanno concesso di rivedere il vero Kane, con il suo marchio della coalizione e le sue cicatrici, i suoi capelli lunghi e la sua voce intrisa di emozioni. Fino ad ora non avevo mai pianto per la morte di un personaggio di The 100, ma vedere quella scena è stato doloroso tanto per me quanto per le tre donne che lo guardavano.
E con un ultimo viaggio nello spazio salutiamo il personaggio più buono, coraggioso e leale di The 100, un personaggio che ha sbagliato e commesso errori, ucciso e risparmiato, che ha sempre tentato di migliorare se stesso e gli altri, di portare la pace e la serenità, che ha sempre cercato di fare la cosa giusta nonostante tutto.






May we meet again.
Alla prossima settimana,
-Valeria
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