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Recensione | Stranger Things 3

Come tutti sappiamo, la creatura dei fratelli Duffer ha la sua formula vincente nel recupero di quell’immaginario visivo e non solo citazionista degli anni 80, costruendo la narrazione e i personaggi, su modelli e stilemi di quella decade ripresa da tantissimi prodotti per via del revival. Se la novità della prima stagione con i tantissimi easter egg e l’effetto nostalgia dirompente potevano bastare, ora arrivati alla terza annata, carica di moltissime aspettative, si avverte a tratti la stanchezza di continuare a proseguire lo scontro tra i protagonisti e il Mind Flayer. Disponibile su Netflix dal 4 luglio, la terza stagione di Stranger Things si compone di otto episodi, durante i quali sentiremo molto più che in passato la crescita fisica dei personaggi.

È su essa il focus più interessante e meglio gestito, difatti dal primo episodio scopriamo come ormai il gruppo dei nerd che giocavano a Dungeons e Dragons non esiste più, al suo posto ci sono degli adolescenti molto più interessati alle loro relazioni di coppia. Lucas e Max, El e Mike, Dustin e la misteriosa Suzie, in tutti loro è evidente il passaggio dal fanciullo al ragazzo. Solo Will è rimasto indietro. Ancora interessato a giocare come un tempo, il ragazzo non ha ancora abbandonato quella fase di vita e cerca in tutti i modi di coinvolgere gli altri amici, a rivivere quelle giornate passate a combattere i mostri solo con la fantasia della propria mente. Fin dal successo della prima stagione di Stranger Things sapevamo che avremmo visto i personaggi crescere e il racconto di formazione ne è una conseguenza diretta, quell’amicizia pura e senza egoismi simbolo di quell’età ha fatto posto a qualcosa di più concreto e adulto.

Sebbene le dinamiche del gruppo siano più interessanti del Mind Flayer, l’antagonista principale non ha ancora finito di mettere in difficoltà i protagonisti e in questa stagione, si servirà di essere umani simili agli zombie, per cercare di uccidere definitivamente Eleven i suoi amici. Oltre al puro aspetto visivo degli scontri e dello stesso Mind Flayer c’e davvero pochissimo di cui interessarsi alla storyline, mentre è più fantasioso il segmento degli “evil russian”.

Oltre ai teen movie come I Goonies o E.T. e i vari film di fantascienza adulti ai quali Stranger Things si è molto ispirata, c’era un cinema americano puramente di propaganda negli anni 80 causato dalla guerra fredda tra America e Unione Sovietica, dove i nemici erano i russi. L’inserimento dei sovietici malvagi nella storia è un elemento calzante e più colto di altri, tuttavia questi antagonisti sono troppo poco stereotipati per far ridere e assolutamente poco credibili per far spavento, un vero peccato giacché ad affrontare tale minaccia c’è l’ottimo quartetto composto da Dustin, Robin (la new entry), Steve ed Erica.

Non mancano le storyline piatte come quelle tra Nancy e Jonathan, quella tra Jim Hopper e Joyce che oltre a strappare quelle risate minime stimolano ben poco lo spettatore. Visto che Stranger Things continuerà il suo percorso per almeno altre due stagioni, ci dovrà essere un lavoro molto più forte su alcuni personaggi molto deboli rispetto ad altri. La forza della serie si trova nell’operazione di amalgamare i diversi segmenti nei vari episodi, in modo da non farti preferire una storyline anziché un’altra, mentre in questa terza stagione l’efficacia di tale operazione è molto debole e spesso sentiamo la necessità di vedere cosa stanno facendo Dustin e Steve, invece di visionare l’indagine di Nancy e Jonathan.

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