Nella carriera di un cineasta molto importante, arriva spesso quel momento in cui ci si deve confrontare con se stessi attraverso il cinema, la settima arte perciò diventa specchio e autoanalisi, difatti Almodovar con questa sua ultima opera mette in scena i propri dolori e glorie, dimostrando una consapevolezza notevole del suo vissuto. Uno degli esempi più rappresentativi di questo cinema è 8½ di Fellini, tuttavia al contrario dell’affermato capolavoro, nel racconto di Dolor y Gloria la crisi del protagonista è sia creativa sia fisica, i problemi del corpo diventano difficoltà dello spirito.

Così come Marcello Mastroianni era l’alter ego di Fellini nel celebre film, Antonio Banderas diventa il dolorante Salvador, un regista distrutto dai malanni che si è abbandonato a una triste vita colma di vuoto. A causa del restauro di una sua pellicola, il protagonista rincontrerà dopo trentadue anni l’attore di un suo lungometraggio, scatenando inevitabilmente delle conseguenze. Flashback dell’infanzia, coincidenze straordinarie e acciacchi continui, scandiranno la pellicola in concorso al 72 Festival di Cannes, dove Banderas ha ottenuto il premio come miglior interpretazione maschile.

Guardando al passato, Almodovar cerca cosa lo ha salvato da un periodo difficilissimo della sua vita, trovando nel cinema e nell’amore le ragioni della sua vitalità. Il suo rapporto con la settima arte sia nell’infanzia, sia nell’età adulta è decisivo per il suo benessere ma non solo, difatti Salvador affermerà che il cinema è stato lo strumento con cui ha conosciuto la geografia. Riconosciuto e amato da culture distanti, il cineasta inserisce anche un’ironia egocentrica sul suo successo all’estero, dimenticandosi furbescamente del perché il cinema possa attrarre e coinvolgere spettatori distanti dalla Spagna, affermando di non sapere perché amino i suoi film anche in Islanda. Onesto intellettualmente fino in fondo, Almodovar non scrive e dirige un ritratto vittimista, ma sincero e conscio della sua personalità a volte respingente, mostrando a noi spettatori come la gloria possa essere un ostacolo anche nelle relazioni più importanti della nostra vita.

Nel raccontare la sua infanzia, il cineasta spagnolo non poteva svincolarsi dal mettere in scena la figura più importante della sua vita: sua madre e più in generale l’amore per le donne. Circondato da figure femminili fin dalla più tenera età, Almodovar indaga sul suo primo desidero, su quando possa essersi manifestata la propria omosessualità mentre il suo bisogno di studiare e conoscere, cresceva e diventava imprescindibile. La scrittura molto intima del film è anticipata dalla forma che già nei titoli di testa assume una direzione artistica molto precisa, Juan Gatti autore dell’opening title, evidenza i colori di Dolor y Gloria e di un cineasta singolare come Pedro Almodovar.
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