Se in queste settimane avete pensato solo a Game of Thrones, vi siete lasciati sfuggire uno dei prodotti più interessanti del panorama televisivo. Fleabag si compone di dodici episodi che vantano una durata brevissima (poco meno di mezz’ora) ma di una densità di contenuti davvero notevole senza essere impegnativa, difatti a causa del minutaggio potrete benissimo guardarvi entrambe le stagioni in un paio di giorni. Disponibile su Prime Video, Fleabag trova spazio grazie alla collaborazione tra Amazon Studios e BBC.

Costruita su un personaggio principale, Fleabag racconta di una donna londinese molto sola che vive le sue giornate tra un lavoro improduttivo, una famiglia complicata e delle relazioni sentimentali fugaci. Tutte queste componenti sono trattate con un’ironia che potrebbe ricordare il genio di Woody Allen, tuttavia pur essendoci delle similitudini evidenti: la costruzione del prodotto su un personaggio interpretato dall’ideatrice e scrittrice di quest’ultimo, il lavoro di scrittura che mette in relazione tragico e comico e molte altre, lo show televisivo prende le distanze dal celebre cineasta, soprattutto per un coinvolgimento davvero interessante tra noi spettatori e lei. Dimenticatevi di Deadpool, la rottura della quarta parete non è mai stata così importante per il racconto

Ritroviamo Fleabag più determinata che mai a essere indipendente dagli altri, il caffè a tema porcellino d’india procede benissimo e l’amica Boo per quanto presente in alcuni flashback, sembra essere una parentesi chiusa, dimostrando una scrittura coerente ed evolutiva con il percorso narrativo della stagione precedente, mirato in special modo all’elaborazione del lutto. Gli eventi principali di quest’annata sono sostanzialmente due ed entrambi introdotti nel primo episodio, da un lato abbiamo il matrimonio tra la matrigna e il padre di Fleabag, dall’altro la frequentazione con un prete abbastanza fuori dagli schemi.

Tra mille imprevisti la famiglia della protagonista resta ancora afflitta dall’incomunicabilità, i sentimenti come i pensieri più futili restano nascosti in favore di una falsa pace che metta tutti d’accordo, resa vana dallo scontro di opposti tra Fleabag e sua sorella Claire. L’esempio perfetto risiede nel funerale della madre, durante il quale entrambe devono ricevere le condoglianze ma mentre Claire è visibilmente distrutta dall’accaduto, Fleabag è radiosa come non mai, suscitando un imbarazzo notevole molto divertente. In questa dicotomia c’è tutto il loro rapporto che le vede completamente distanti nell’atto da svolgere ma insieme per darsi sostegno. È palese come nel dialogo poco prima della funzione funeraria ci sia una scrittura davvero attenta dietro l’interazione tra le due sorelle, difatti quando Fleabag dovrà rispondere alla domanda di Claire: “Come sto?”, basteranno due parole a chiarire il tutto.

Parallelamente agli incontri- scontri familiari e all’innamoramento per il prete, una seduta ci regala la riflessione più interessante di tutte. Gli sguardi in macchina della protagonista assumono una conseguenza legata all’influenza della religione: così come molti di noi si lasciano sedurre dalla scelta di credere in un’altra vita, sperando in un futuro migliore, anche Fleabag pensa di non essere sola perché ci siamo noi che le rendiamo la vita meno solitaria ma anche più strana e difficile, perché nella sua mente saprà sempre di trovarci lì a guardare i suoi dolori, le sue speranze. Forse siamo noi gli ostacoli verso la consapevolezza della sua vita e perciò verso la sua felicità. Stravagante, irresistibile e densa, Fleabag saprà conquistarvi fin dai primi minuti.
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