A cosa associamo generalmente il genere horror ? Negli ultimi tempi, siamo abituati a film dell’orrore che puntano tutto sull’elemento mostruoso: la fonte della paura è qualcosa di sconosciuto e terrificante che turba la quiete dei personaggi. Il problema risiede nel fatto che negli ultimi tempi l’horror viene considerato un genere di serie B e, purtroppo, in molti casi a ragione. Sceneggiatori e registi non sentono la necessità di creare storie profonde, enigmatiche e contorte. Pensano che il pubblico cerchi essenzialmente shock, stupore e intrattenimento. Mi vengono in mente film come The Boy o Hereditary (quest’ultimo molto apprezzato) : pellicole che vogliono scioccare il lo spettatore, ma, a mio parere, senza riuscire nel loro intento. Manca qualcosa, un elemento fondamentale che distingue un comune horror da uno incisivo ed efficace. L’angoscia. Un sentimento complesso, forse più terrificante della pura paura, che risiede non tanto in qualcosa di estraneo, ma nella mente e nella società dell’essere umano. Visivamente, è difficile rappresentarlo. E’ più facile affidarsi ai più classici jumpscares, ormai marchio di fabbrica del 90% degli horror contemporanei. Ritengo che per creare un buon horror, un regista debba andare a turbare ciò che di solito rassicura le persone. La loro mente, la loro famiglia (si pensi a Shining), o addirittura l’intero ambiente in cui vivono.
Due anni fa, ha esordito dietro la macchina da presa Jordan Peele, attore e sceneggiatore afroamericano. Il film in questione è Scappa-Get Out. Un horror molto atipico e, per questo motivo, molto apprezzato da critica e pubblico. La pellicola ottenne infatti quattro candidature agli Oscar, vincendo la prestigiosa statuetta per la sceneggiatura.
Scappa-Get Out può essere ironicamente riassunto come la versione horror di Indovina chi viene a cena. Chris Washington (un bravissimo Daniel Kaluuya) è un fotografo afroamericano fidanzato con Rose (Allison Williams), che ha intenzione di presentarlo alla sua famiglia. Chris è all’inizio titubante a causa del colore della sua pelle, ma la ragazza lo rassicura, dicendo che i suoi sono persone molto aperte e liberali. Al suo arrivo, il ragazzo viene accolto con sorrisi e elogi: il padre di Rose (Bradley Whitford) afferma di amare il popolo afroamericano, dichiarando che avrebbe rivotato Obama se avesse potuto, mentre suo fratello (Caleb Landy Jones) esalta in modo quasi ossessivo le qualità fisiche delle persone di colore. Chris viene guardato anche dagli amici di famiglia come fosse un trofeo, un oggetto da mostrare e ammirare. Non svelerò il finale del film, ma saranno presenti degli spoiler per capire in che modo Scappa-Get Out è un horror diverso dal solito.
La tensione è lentamente scandita,crescente man mano che il protagonista si rende conto che, in quella quiete e serenità, c’è qualcosa che non va. L’elemento più disturbante è senz’altro costituito dai domestici di colore, su tutti Georgina (Betty Gabriel): inquietante e palese indizio sulla vera natura dei padroni di casa. Oltre all’efficace resa della suspence, Get Out trova il suo punto di forza nel suo scopo di critica sociale. Jordan Peele ci mostra come spesso il razzismo, quello più subdolo, si nasconda proprio tra quella borghesia liberal e aperta, che ama tanto ostentare il suo amore verso il diverso. Persone che, anziché trattare lo straniero come pari, lo esaltano a fenomeno da baraccone. Il film è una critica, a tinte sia horror sia satiriche, all’ipocrisia americana, che nasconde con astuzia e dietro finti sorrisi il proprio razzismo.
Dopo Scappa- Get Out, Peele si è cimentato in un’altra conturbante opera: Noi. Non tutti concordano, ma, a mio parere, il regista con questo film ha già raggiunto la consacrazione artistica. Noi è angosciante, inquietante, provocatorio: tutto ciò che di meglio si può desiderare da un film dell’orrore.
Il film è la storia di Adelaide Wilson (Lupita Nyong’o, in una performance da brividi), giovane madre con un forte trauma psicologico alle spalle. Da bambina, infatti, Adelaide (nel flashback interpretata dal giovane talento Madison Curry) si era allontanata dal Luna Park in cui si trovava con i suoi genitori. Raggiunta la spiaggia, era entrata in una casa divertimenti, con all’interno una sala di specchi. Adelaide aveva qui incontrano il suo doppelganger. Questa sequenza iniziale è probabilmente la più angosciante del film: la bimba si trova a faccia a faccia con se stessa. L’idea non è affatto banale: il nostro Io costituisce la base del nostro rapporto con il mondo. Cosa succederebbe se l’unica nostra certezza fosse così frantumata? Come reagiremmo se ci trovassimo di fronte ad una copia di noi stessi? Già questo disturbante elemento psicologico sarebbe bastato per creare un buon horror, ma Peele osa ancora di più, inserendo anche in Noi una ancora più incisiva critica alla società americana.
Tornando alla trama, Adelaide va in vacanza con suo marito Gabe (Winston Duke) e i suoi due figli nello stesso luogo in cui subì il trauma. La donna sente che c’è qualcosa che non va, ha un brutto presentimento, ma il marito la rassicura, dicendo che probabilmente la sua è solo autosuggestione. Una sera, di ritorno da una giornata in spiaggia con amici, i Wilson trovano nel loro vialetto quattro sconosciuti che si tengono per mano. Essi non sono altro che i loro Doppelganger: persone identiche a loro, ma vestite di rosso e intenzionati ad ucciderli con forbici d’oro. I quattro, insieme a tutti gli altri doppi (ogni americano ne possiede uno), intendono prendere il posto degli originali sulla terra. Chiamati gli Incatenati, essi sono infatti stati creati dal governo come esperimento per poi essere abbandonati nel sottosuolo, condannati ad una vita misera e infelice.
Attraverso questa intelligente metafora, Jordan Peele ci presenta nientemeno che la situazione sociale degli Stati Uniti. Il ricco, il borghese sottomette il povero. I veri cattivi non sono tanto “gli altri”, ma siamo noi stessi. Gli Incatenati vogliono vendicarsi per i soprusi subiti da noi. Persino il titolo del film è significativo da questo punto di vista. “Us” significa sia “noi” sia “United States”. Difatti, nella scena del primo incontro tra i doppelganger e la famiglia Wilson, Adelaide chiede “Chi siete?” e il suo doppelganger risponde “Siamo Americani”. Il film può essere quindi visto sia da un punto di vista intimo e psicologico, sia da uno più generale e sociale. Non dobbiamo solo affrontare noi stessi, ma anche coloro che si trovano sotto di noi, coloro che stanno alla base della società. Creati unicamente per il nostro benessere, poi abbandonati a loro stessi. Una vera e propria ingiustizia sociale che sfocia in una violenta ribellione.
Oltre alla profondità del significato dei suoi film, ciò che amo di Peele è la sua capacità di ribaltare, a volte con ironia, gli stereotipi del genere horror. Sia in Scappa-Get Out sia in Noi, smantella lo stereotipo razzista, in cui il primo personaggio a morire è sempre l’afroamericano. Oppure, in Noi ne ribalta un altro, molto frequente: il sessismo dei personaggi femminili, spesso stupidi e privi di spessore. Nel film è l’esatto posto: mentre Adelaide è coraggiosa e intelligente, il marito Gabe rappresenta l’anello debole della coppia, con comportamenti quasi grotteschi, che suscitano più di una risata.
Insomma, ritengo che Jordan Peele stia riscrivendo le regole del cinema horror contemporaneo. Il regista e sceneggiatore riesce ad analizzare temi delicati e importanti con un genere che, sebbene sia scaduto molto, storicamente costituisce la rappresentazione delle primordiali paure umane. Peele ha avuto la grande intuizione di esprimere l’angoscia per il futuro della nostra società attraverso un genere molto visivo e che quindi solitamente attrae un pubblico maggiore. Quello di Jordan Peele è dunque un vero e proprio horror d’autore. Angosciante, delirante e inquietantemente attuale.
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