Telefilm/The OA

Recensione | The O.A. 2×07 e 2×08 “Nina Azarova”, “Visione d’insieme”

C’è un’unica reazione possibile alla conclusione di questa seconda stagione di The O.A.

Andiamo con ordine e calma per capire i vari passaggi che ci hanno portato ad un climax pazzesco e ad un cliffhanger che fa impallidire quello della stagione precedente (il che è tutto dire).

La settima puntata ci fornisce gli ultimi tasselli per completare il puzzle della stagione, partendo innanzitutto dall’EPM di Scott, ambientata in una dimensione dove OA e Hap formano una coppia e dove lui dice di aver visto delle telecamere e qualcuno chiamare OA “Brin…o qualcosa di simile”. Qui nasce un sospetto leggerissimo, ma la sola ipotesi è talmente assurda che subito la metto da parte e ridacchio perché mi sembra un’idea così azzardata da non essere assolutamente plausibile. Sullo schermo intanto Hap continua a fare il verme e manda l’ignaro Scott a Nob Hill, azione che risulta nel coma dell’uomo e ancora una volta nell’estrazione di un fiore dal suo orecchio.

Karim, allontanatosi da Prairie, continua la sua indagine su Michelle grazie ad un video dove si vede la ragazza aprire il rosone di Nob Hill e poi cadere in stato comatoso. Questo video costituisce anche il motivo per cui la Rhodes, trovata morta in casa dal detective, ha dato le dimissioni dal CURI. La scoperta spinge Karim a confrontare direttamente Pierre Ruskin, unico punto, secondo me, assolutamente anti-climatico della serie: ci viene rivelato il volto di uno sconosciuto e nemmeno un antagonista di particolare spicco, dato che si scoprirà poi che è stato manipolato dal Dr. Percy nel creare Q Symphony. Unica azione degna di nota è stata la trappola che ha teso a Karim, usando Michelle come scusa per coinvolgerlo e attirarlo nella casa, dato che i sognatori da tempo vedevano il viso del detective unito alle immagini di Nob Hill. Un peccato che il personaggio di Ruskin sia comparso per così poco tempo e non abbia avuto nemmeno un ruolo particolarmente incisivo, essendo stato più un’involontaria pedina, un collegamento tra personaggi più importanti di lui.

Un ritorno inaspettato è quello della viaggiatrice francese che incontra Prairie al SYZYGY e le consiglia di far riemergere Nina invece di bloccarla con la sua coscienza. E’ una bella sorpresa scoprire quindi che Nina non è morta nel corpo di Prairie Johnson e che le sarà dato dello spazio per evolversi. Un po’ come una versione di Orphan Black dove però tutti i cloni sono all’interno dello stesso corpo. La viaggiatrice le spiega anche che non ha via di scampo da Hap, semplicemente alcune persone sono legate le une alle altre con una forza tale che il legame si riproduce come un’eco nelle varie dimensioni.  A questo punto mi viene da chiedermi non solo chi sia questa donna, ma se sia legata ad un gruppo di viaggiatori di cui potrebbe far parte, ad esempio, anche Elias, ed eventualmente con che scopo essi decidano di muoversi tra le varie dimensioni. Grazie alle indicazioni ricevute, Prairie, ricreando il trauma dell’EPM, riesce a far riemergere Nina Azarova e ad integrarsi alla sua coscienza e ai suoi ricordi.

(Quasi) tutti i nodi vengono al pettine nel finale di stagione. Innanzitutto scopriamo cosa si trova nella stanza segreta di Hap: i corpi di tutti coloro che sono stati nella casa e hanno raggiunto il rosone. Quei fiori che spuntavano dalle loro orecchie rappresentano uno sguardo su una dimensione parallela e, se mangiati, possono puntare la direzione per un viaggio; per questo motivo Hap sta creando una vera e propria serra in miniatura che faccia da mappa per gli spostamenti inter-dimensionali. Non ci sorprende particolarmente scoprire che i corpi delle persone immersi nella vasca d’acqua che fa proliferare i fiori siano quelli dei cinque ragazzi addestrati da OA. Ciò spiega anche perché Rachel avesse intimato al gruppo di mandare solo BBA. E’ una scena bellissima e d’impatto, elegante nella sua stranezza, segno distintivo ormai di questa serie.

Finalmente Homer, in veste di Bella Addormentata risvegliata da un bacio, riesce a ricordare la dimensione precedente, ma giusto per il tempo di farsi chiudere in ascensore da Hap, liberarsi e dargli un paio di pugni (il momento più soddisfacente delle due stagioni) e farsi sparare alle spalle. Mentirei se dicessi che il punto in cui Homer pronuncia le parole “I remember” non mi abbia dato i flashback della morte di Chris in Skins. Sebbene questo personaggio non mi abbia mai particolarmente entusiasmata, forse perché impallidiva davanti alla caratterizzazione di Prairie, o forse perché l’attore sembra costantemente confuso (giustificabile, vista la serie), tuttavia questi ultimi momenti in cui lui e OA si promettono di ritrovarsi in qualsiasi dimensione, mi hanno fatta davvero emozionare.

Infatti Hap ha intrappolato la povera Prairie in un cerchio formato da cinque enormi robot uguali a quelli della donna francese. Non si è capito da dove siano usciti o quando abbia avuto il tempo di costruirli, ma, ancora una volta, dopo la piovra parlante accettiamo di tutto. Lo scopo di Hap è mandare se stesso e Prairie nella dimensione che rappresentava l’EPM di Scott, una dimensione dove lui e la donna da cui è ossessionato sembrano formare una coppia. Quello che Hap non ha messo in conto è che, nello stesso luogo, ma da un’altra parte, quattro ragazzi e una professoressa stanno eseguendo i movimenti che condurranno Steve nello stesso luogo dove sono diretti lui e OA, così da poterla proteggere.

A questo punto la prospettiva più chiara è quella di Karim che, raggiunto il rosone di Nob Hill, si affaccia e vede OA alzarsi in volo e poi cadere improvvisamente; avendo risolto l’enigma della casa, il detective acquisisce la capacità di vedere un’altra dimensione e infatti, sporgendosi dalla finestra, si ritrova in uno studio cinematografico dove Brit Marling, come una Hannah Montana sotto acidi, rappresenta una nuova versione di Prairie. Nello studio c’è anche Michelle, intrappolata nel corpo di Ian Alexander, che sente la voce di Karim e risale fino al rosone, riuscendo a tornare nella sua dimensione d’origine.

Sul set c’è anche Jason Isaacs, nuova incarnazione di Hap, che segue Brit in ambulanza; non è però lui il solo a raggiungere la donna nella corsa verso l’ospedale. Anche Steve infatti, grazie ai movimenti, è riuscito ad arrivare nella nostra dimensione e ha tutta l’intenzione di proteggere OA.

Un colpo di scena del genere è talmente incisivo che, sia piaciuta o meno la stagione, è impossibile non essere curiosi di scoprire cosa succederà. Nel suo passare quasi inosservata questa serie sta rivoluzionando l’uso della quarta parete, con una radicalità paragonabile a quella di “Essere John Malkovic”; il problema qui è che questa rivoluzione va applicata non solo ad un’ora e mezza di film, ma ad un’intera serie. Nonostante la difficoltà del compito, come ci ha già insegnato Brit Marling, bisogna avere fede e con questa fede in lei e nelle sue capacità di scrittura, speriamo in un rinnovo e in una terza, altrettanto spettacolare, stagione.

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