Regia: Guillermo del Toro
Anno: 2017
Genere: Fantastico, Sentimentale, Avventura, Drammatico
Cast: Sally Hawkins, Michael Shannon, Richard Jenkins, Doug Jones, Michael Stuhlbarg, Octavia Spencer, Nick Searcy, David Hewlett, Lauren Lee Smith
Trama: Baltimora, 1962. Elisa Esposito è una donna affetta da mutismo, a causa della recisione delle corde vocali da bambina, che lavora come addetta alle pulizie in un laboratorio governativo dove vengono effettuati degli esperimenti atti a contrastare la Russia durante la Guerra Fredda. I suoi due unici amici sono la collega afroamericana Zelda e l’inquilino gay Giles, coi quali condivide una vita di solitudine ed emarginazione. Un giorno al laboratorio viene portata una cisterna contenente una creatura anfibia dall’aspetto umanoide: è stata catturata in Amazzonia dove gli indigeni locali la veneravano come un dio. Elisa rimane molto affascinata dalla creatura, e comincia ad andarla a trovare di nascosto portandole del cibo e insegnandole a comunicare tramite il linguaggio dei segni.
Il perché pelato, parte spoiler free: “La forma dell’acqua” si avvicina beffarda alla serata degli Oscar forte delle sue tredici candidature. Le merita davvero tutte? Se vogliamo paragonarlo ad altri film con una statistica simile forse no, ma contestualizzato nei candidati di quest’anno sarebbe strano se non se portasse a casa almeno la metà delle nominations. La cosa che lascia davvero senza fiato di questo film é la cura dei dettagli: quasi tutti i personaggi sono trattegiati egregiamente, inclusi quelli secondari. Alcuni piccoli dettagli infatti sono sufficienti a dirci un po’ di più circa la loro vita privata e gli danno colore e personalità. È complicato da spiegare ma si tratta di quei gesti che valgono di più di mille parole: Zelda che si lamenta sempre dei suoi piedi, Giles e la sua fissazione con la torta al Limes, La metodica routine mattiniera di Elisa. Tutti questi rituali servono a dirci un po’ di più circa chi abbiamo di fronte: ad esempio, per quanto riguarda la protagonista, una metodica routine può essere sia sintomo di insoddisfazione sia di una serenità con se stessi, e in effetti per quanto riguarda il personaggio entrambe le ipotesi possono considerarsi vere. Elisa è una donna sicura di sé, ma le manca qualcosa e non si tratta della voce. Si tratta di qualcuno che possa amarla aldilà del suo problema e quella strana creatura sembra essere proprio quello che cercava.
Il film è dominato quasi interamente dai colori freddi che richiamano al immaginario marino come il grigio, il teal, il verde e l’azzurro. C’è continuamente questo senso di umido, di bagnato e perfino la musica in certi tratti del film veicola questa sensazione di fluido, leggero. Sally Hawkins è incredibile e grazie al personaggio di Elisa ci ha regalato una straordinaria opera attoriale. Anche Octavia Spencer non è da meno anche se, sinceramente, sono stufa che Hollywood la scritturi sempre per il ruolo della “Afroamericana chiacchierona”, è un’attrice di talento e andrebbe sfruttata per i ruoli più disparati. Oltre al senso di “freddo, umido, fluido e leggero” a cui ho accennato prima l’altro spettro di colori e sensazioni che passano sullo schermo (anche se in misura minore) è lo spettro caldo e “artificiale” dell’america degli anni ’60 : le casette deliziose, i poster accattivanti e la vecchia Hollywood fanno da sfondo alla vicenda senza sovrastare il tema generale del film. Mentre la creatura fa parte dello spettro “freddo” della storia, il cattivo fa parte del suo aspetto “caldo” : il personaggio di Micheal Shannon è il tipico uomo della sua epoca e incarna perfettamente lo spirito degli anni ’60 . Nel corso del film infatti abbiamo alla fine dei conti una vera e propria guerra tra gli ideali degli anni ’60 e il mostro, una guerra tra sfreccianti macchine vintage e la semplicià dell’acqua, tra caldo e freddo, tra morte e vita, tra odio e amore.
Alla fine è questo il nodo centrale del film, e ciò non si palesa solo nei dialoghi ma anche visivamente: quello che mi ha colpito maggiormente della pellicola è stata la continua presenza dell’acqua in ogni sua forma. Del Toro infatti si focalizza spesso su questa immagine, dai bicchieri, alla pioggia, alla vasca da bagno di Elisa. Tutto sembra essere invaso dall’acqua e se si presta attenzione, si noterà che proprio all’inizio del film possiamo vedere la casa di Elisa completamente sommersa, come se fosse venuto una specie di maremoto li a Baltimora. Io credo che la scelta di Del Toro non sia puramente estetica e la chiave di lettura dell’intero film si trova probabilmente nella poesia che viene recitata alla film del film:
Incapace di percepire la tua forma, Ti trovo ovunque intorno a me. La tua presenza mi riempie gli occhi col tuo amore, il mio cuore si fa piccolo, perché tu sei ovunque.
L’acqua come simbologia, sia psicologica che esoterica, rimanda al mondo dei sentimenti e la sua continua presenza probabilmente mostra come l’amore sia davvero “presente” in ogni luogo del mondo se lo si sa accogliere. Questo continuo rimando all’amore e ai sentimenti è espresso a seconda della diversa forma che l’acqua prende nel film: Elisa si masturba in una vasca da bagno ogni mattina, è immersa nell’acqua e probabilmente è un segno che la donna sia in realtà completamente immersa nel piacere che sta provando. Quando il personaggio di Micheal Shannon rovescia a terra il bicchiere d’acqua in una determinata scena del film vediamo come, simbologicamente, questa immagine si ricolleghi ad una sua azione che non ha niente a che fare con l’amore in sé, ma col desiderio e con parti più “oscure” dello spettro dei sentimenti. Altri esempi li abbiamo quando la creatura e la donna sono completamente immersi nell’acqua in certe scene del film, o quando la pioggia si abbatte incessante sulla casa di Elisa, mano mano che si rende conto di amare lo strano essere che ha conosciuto. Il film è fondamentalmente un inno all’amore e la dicitura “La forma dell’acqua” la possiamo tranquillamente traslare ne “La forma dell’amore” .
La pellicola tra l’altro si appoggia al linguaggio della fiaba, più nei dialoghi che nei temi forse, ed è una caratteristica sui cui è impossibile non spenderci una riflessione visto il lavoro fatto da Del Toro ne “Il labirinto del Fauno”, un altro suo celebre film. I due film infatti sebbene abbiano delle similitudini (a partire dallo spettro di colori, dal tema del “mostro e della fanciulla” ecc) si distanziano fondamentalmente per il diverso taglio che danno alle rispettive vicende. Il labirinto del fauno infatti è decisamente più cupo e “forte” per quanto riguarda i temi e le immagini proposte. Sono entrambe fiabe, ma se la “Forma dell’Acqua” lo è in senso più “stucchevole” e moderno, il “Labirinto del Fauno” lo è in senso più macabro e tradizionale. Questa innegabile diversità è tratteggiata anche e soprattutto dalla musica dei due diversi film. “La Forma dell’Acqua” ricorda vagamente “Il fantastico mondo di Amelie Poulin” per quanto riguarda la scelta delle musiche, specie quelle ad inizio film. Per quanto riguarda ciò che non mi ha soddisfatto del film c’è da citare innanzitutto il personaggio di Micheal Shannon, il cattivo del film, che trovo non sia particolarmente originale. Sospetto sia voluto per tratteggiare meglio il periodo storico in cui è ambientato il film, o meglio per incarnare al meglio il lato oscuro dell’america degli anni ’60: sessista, razzista e profondamente capitalista. L’altra cosa che davvero non mi è piaciuta è stata l’omaggio alla vecchia Hollywood. Non stona particolarmente nel film e non è nemmeno invadente, semplicemente non è una cosa che amo vedere: sembra quasi che il regista voglia strizzare un occhio a quelli del settore per farsi piacere maggiormente il film. Da qui in poi ci sarà una piccola parte spoiler , quindi se non avete ancora visto il film vi sconsiglio di leggere oltre per evitare spiacevoli sorprese.
Il perché pelato, parte con spoiler: come già detto prima, ne ho fin sopra le scatole di questi continui rimandi all’epoca d’oro di Hollywood e la scena di “ballo” tra i due piccioncini mi ha fatto immediatamente pensare a La La Land. Non è un elemeno che stona più di tanto, anzi si amalgama piuttosto bene rispetto ad altri casi, ma l’ho trovato fondamentalmente un aspetto evitabile del film. Un’altra parte su cui mi volevo soffermare in questa sezione con spoiler è il discorso che si faceva prima riguardo “L’acqua come sentimento”: il momento in cui i due hanno il primo rappporto è nella vasca da bagno, la stessa in cui Elisa si masturbava. La protagonista l’ha fatto letteralmente entrare non solo nella sua casa, ma anche in una parte molto privata di se stessa. Il secondo rapporto lo hanno sempre nel bagno, ma sistemato in modo tale che l’acqua arrivi fino al soffitto, fino a straripare e ad inondare tutto l’appartamento. Per quanto mi riguarda è difficile non pensare all’amore che ormai è compiuto e che ha inondato e fatto suo ogni cosa attorno a sé. Questo parallelismo lo troviamo non solo nelle scene di Elisa ma anche in certe scene del malvagio agente governativo: versa un bicchiere d’acqua per chiamare la protagonista (getta via i sentimenti simbolicamente) e quando la accoglie le fa capire che la desidera, ma si tratta di un desiderio fine a se stesso con un non troppo velato senso di dominio e di prevaricazione.
Lui vede quella donna come eccitante perché la percepisce come “menomata” e vede nella menomazione un modo per sfogare, probabilmente, le sue manie di controllo e di dominio. La creatura al contrario, per quanto possa essere “selvaggia”, non vede Elisa come menomata ma riesce ad apprezzarla per quel che è: entrambi infatti non possono comunicare normalmente con gli umani e questo “comune” limite ha permesso loro di vedere aldilà della comunicazione stessa, permettendogli infine di sviluppare una sincera e profonda connessione. É un po’ buonista come visione se vogliamo dirla tutta, ma dobbiamo ricordarci anche il linguaggio fiabesco in cui la storia è inserita. Chi sta scrivendo questa recensione ha apprezzato il film e lo ritiene una vera propria esperienza sensoriale ma, sebbene la pellicola non abbia grossi difetti e il parallelismo tra acqua e amore sia una cosa tutto sommato intelligente, la trama fondamentalmente non è delle più originali poiché siamo di fronte al vecchio tema della fanciulla e del mostro. In conclusione, è la cura nei dettagli che secondo me consacra il film a qualcosa di più che una semplice favoletta: non solo abbiamo una caratterizzazione più che buona per i personaggi secondari ma possiamo godere di una vera e propria armonia tra quello che percepiamo visivamente sullo schermo e ciò che la storia ci racconta.
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