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Musica | L’esplosivo half-time del Super Bowl 2017. The show goes GAGA!

Avevamo lasciato Lady Gaga ed il Super Bowl in ottimi rapporti, con la performance dell’inno nazionale in apertura lo scorso anno, quella performance che aveva convinto tutti, anche chi ancora fosse vocalmente scettico.

Lady Gaga si apprestava già al periodo pre Joanne, con pochi fronzoli e molta più voce, reduce anche dalla positiva esperienza in American Horror Story, che le è valsa anche importanti riconoscimenti.

Ebbene, tutti si chiedevano, come sarebbe stata questa performance dell’half time show 2017? Una GaGa dimessa e più country come nelle atmosfere dell’ultimo album, oppure la vecchia GaGa, eccessi e lustrini in salsa vintage? Giudicate voi.

GaGa ha coniato se stessa ed ha declinato quello che sa fare meglio, ovvero riempire il palco – in questo caso il campo – senza strafare ma sempre con un pizzico di spettacolarità.

Ci si aspettava riferimenti o critiche evidenti alle recenti vicende politiche, invece lei, in tempo di unione ed aggregazione dove milioni di americani si trovano davanti alla TV per seguire l’evento sportivo, riapre da dove ha chiuso nel 2016.
Quel God Bless America a fine inno nel 2016, trova spazio in apertura con un cielo che torna ad illuminarsi di stelle e strisce. E ricorda a tutti, con i primi versi del Pledge of Allegiance, quel giuramento alla bandiera che i bambini intonano ogni giorno a scuola ad inizio lezioni, che l’america è ‘one nation, under God, indivisible’, così come fu sancito dalla costituzione e per l’indipendenza.

Il salto quindi nell’Arena, dal punto più alto dello stadio, quel punto più alto dove appunto dice di essere arrivata, di essere in vetta… “I’m on The Edge” sentenzia, prima di partire con la hit più celebre, Poker Face.

Ci si possono vedere tante cose nello scegliere proprio Poker Face in fase di apertura:

  • Un omaggio al Texas, del resto, patria del Texas Hold Em citato nei primi versi;
  • Un auto citazione a se stessa e al suo successo che l’ha portata on The Edge (of Glory), riferendosi sempre al suo cammino musicale
  • A Trump. Eh, sì, perché ‘lui non può leggere dietro la mia espressione da Poker’, insomma, caro Trump te l’ho fatta sotto il naso e ti sto dicendo più o meno velatamente che l’America non è terra di divisione o contrasto. Calo i miei assi ma non puoi leggere la mia espressione. Potrebbe starci tranquillamente.

Volteggia nell’aria GaGa, e non ci sono cambi d’abito ma solo uno sciogliersi dei capelli, un rifiutare costruzioni e costrizioni mentre partono le note di Born This Way. Altro inno all’ugaglianza, con l’enumerazione di quelle razze e melting pot culturale che sono gli Stati Uniti.

Molti hanno sempre accostato Lady Gaga a Madonna e questa sua hit ad ‘Express Yourself’, così come è certo che l’eredità di sua maestà Ciccone si veda in tutte le popstars moderne. Gaga però non sceglie la faraonica esposizione o le guest stars. Vuoi anche il momento storico e internazionale, nella sua ‘austerity gaghiana’ riesce a splendere come una disco ball, con quel costume che richiama sempre e comunque David Bowie, un omaggio al Duca Bianco di cui si è sempre dichiarata fan.

E’ su Telephone che scatta invece quella che a mio parere è un’altra citazione notevole, presente soprattutto nella carriera della primissima GaGa. Il Telefono rosa acceso dalle forme essenziali, tripudio di triangoli che per molti complottisti richiamano gli Illuminati, per noi sono chiari riferimenti vintage degli anni 80 (del resto GaGa è una classe 1986, un anno meno della sottoscritta).

In questa atmosfera di recupero che ultimamente ha preso piede, lo stesso palco diventa una griglia essenziale che può portare da un dancefloor, ai video di Olivia Newton John, a Tron in meno di due secondi. Le architetture ai lati risuonano di casa discografica Starlight, di Synergy e anche quando imbraccia la sua pianola e continua a muoversi proprio sulle note del suo primo singolo, Just Dance, percepiamo anche quella sfumatura rosa nei capelli che non può non riportarci alla mente lei.

In quei momenti GaGa è Jerrica Benton/Jem ed inutile negarlo. E’ veramente Truly Outrageous.

E non perché voglio vedercela io, ragazzi, è palese.

L’eccesso ed i prismi di luce ricongiungono ad ogni modo il cerchio, dal primo singolo, all’ultimo, Million Reasons, ballata intima, illuminata di puntini di tanti Little Monsters tra i quali saluta anche i suoi genitori, in un ricollegarsi più con Stefani che con Gaga, come dismettesse per un attimo i panni della performer.

Performer che ritorna in assetto da mischia, sfoggiando un corpetto-paracolpi minimal e preparandosi, come nei suoi concerti alla chiusura sulle note di Bad Romance, dove si innalza a centro palco e in un ascesa, come è stato al principio, lascia intendere che l’azione sta tornando.

E così, in un cammino di rinascita ma anche di volontà nel voler esserci, sale quella scala che la porta al The Edge dalla quale è venuta qualche canzone e sgambettamento prima, lasciandoci con un ‘drop mic – out’, imbracciando la palla ovale e catapultandosi ancora una volta verso il futuro.

-Notforyourears

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