Qual è la sensazione che si prova andando a teatro e sapendo che quello che stai per vedere è il musical della tua vita? E’ la stessa sensazione di quando la puntina girava su quel disco in vinile che tua madre ha comprato coi suoi soldi negli anni 70 e che ti ha fatto ascoltare fin da bambina. E’ la sensazione graffiante di un riff di chitarra epocale che, a te, figlia degli anni 80, nata e accompagnata da sonorità elettroniche d’avanguardia, fa respirare ancora bimbetta quel residuo di atmosfere di libertà, di contestazione e di energia pura di una decade precedente che non hai vissuto. Ecco, questo è tutto ciò che ho provato quando questa Domenica ero lì, in sesta fila, al Teatro Sistina di Roma, per assistere a Jesus Christ Superstar.
Per chi non sa di cosa sto parlando, mi spiace per voi, ma non mi dilungherò nel fornire spiegazioni. Mi limito a lasciarvi informare, sperando lo facciate e possiate farvi una cultura, come si suol dire.
Per tutti gli altri, so che posso considerarvi fratelli, zii, nonni,compari…insomma parenti a tutti gli effetti.
Ero lì Domenica, col biglietto acquistato dai primi di Aprile in mano ed in trepidante attesa. Volti di tutte le età seduti tra le poltroncine messe in fila. Qualcuno immagina, qualcuno si lascia andare a qualche spoiler, ma tutti sono li principalmente per la loro opera rock e per Ted. Il colpo grosso di questo allestimento di JCS, infatti, è stato proprio richiamare lui, Ted Neeley, il Gesù storico della pellicola cinematografica che tanto creò scalpore in tutto il mondo nel lontano 73. Lo abbiamo visto in TV in varie apparizioni in questi mesi, lo abbiamo seguito su facebook e grazie a You Tube ci siamo assicurati che fino allo scorso anno era ancora in ottima salute ed in grado di cantare e spaccare con acuti che farebbero invidia a qualsiasi rocker sbarbatello di primo pelo. Lo sappiamo e lo aspettiamo con ansia sul palco. Non vediamo l’ora di vederlo coi nostri occhi.
In più, serpeggia la curiosità per varie scelte operate riguardo gli altri membri del cast. “Oh, ma c’è Shel Shapiro che fa Caifa. Come se la caverà coi bassi quasi baritonali?” “ Eh, ed Erode? Chissà come sarà…” “ E Hannas con la sua vocina inconfondibile?”. Sì, siamo tutti troppo abituati alla pellicola, ma guardiamo con piacere alla novità, così come alla scelta di affidare ai Negrita, orgoglio rock italiano – e forse molte volte sottovalutati ingiustamente – l’arduo compito di centellinare il distorsore ed alzare il pugno al cielo su di un overture che è leggenda.
Ma c’è anche un altro grande quesito…come sarà Giuda? Come vivrà sul palco Giuda?
Il momento è catartico (come qualcuno diceva qualche anno fa) e mentre calano le luci e si apre il sipario la chitarra ed i fumi artificiali ci accolgono tra strutture di richiamo greco-romano e quel fischio cantilenante che conosciamo ci guida per mano in un altro tempo, anzi, in due dimensioni temporali distantissime che si incontrano in un passo di danza: l’epoca di Cristo in salsa woodstockiana.
E’ Pelle d’oca vera, anche per chi, come me, la pellicola non ha avuto la fortuna di vederla al cinema come i nostri genitori, ma solo in tv o in VHS.
Il crescendo musicale continua, tra archi e tamburi, il basso e poi…il boato…
Da una botola sale lui, piccolo grande uomo che in punta di piedi e con un abbraccio caloroso si mostra non più giovane ma con quello sguardo inconfondibile e che lascia le lacrime affacciarsi a far capolino sul bordo degli occhi. E’ come guardare il colonnato di San Pietro ma senza aspettare l’Angelus. E’ storia.
Applausi come se piovessero, gridolini, emozione palpabile che nemmeno le sedicenni ai concerti degli One Direction. E qui non è questione di ormoni. E’ sentimento allo stato puro.
Poi arriva ancora una semi penombra e parte lei, la signora canzone per eccellenza, “Heaven on their minds”, e c’è lui finalmente Giuda. Potresti giurare di vedere proprio lui, il vero Giuda e compianto Carl Anderson, uscito dalla vecchia pellicola restaurata per la nuova gloria. L’attacco è forse un po’ incerto ma man mano che la voce si scalda ti fa vedere come oltre all’apparenza, quella di un giovane Feysal Bonciani, c’è una voce che si è studiata bene la parte, che la sta vivendo, conscia di avere probabilmente dall’alto una mano sulla testa.
Un altro Giuda lo guida da lassù e lo fa urlare la sua preoccupazione e la sua rabbia come negli anni 70 lui fece tra le gole rocciose d’Israele. Ed è quella stessa mano, quell’anima che ha lasciato questo mondo che sembra ancora di vedere quando vestito di bianco corre tra le poltroncine del pubblico per raggiungere il palco, ed è “Superstar” nel vero senso della parola. Pensi di avere un allucinazione, di vederlo sdoppiarsi, di sentire ancora quella presenza purtroppo non più tangibile. Eppure è lì, è con lui e con noi.
E’ ovvio che, per tutta la durata del musical, i paragoni si offrano spontanei alla mente degli spettatori, e nonostante qualche pregiudizio da puristi spocchiosi, siamo oramai ammaliati e convinti. We fell in love all over again. Siamo innamorati pazzi e ancor di più.
Shel Shapiro, mentre la zona semovente del palco va muovendosi, non fa rimpiangere il vecchio Caifa, e sopperisce alla voce non proprio bassissima e meno inquietante dell’originale con la presenza scenica e con il suo diventare Caifa per quel paio d’ore o giù di li. La smorfia determinata sul volto, sugli occhi marcati di nero che lo fanno sembrare quasi Jafar, specie quando compaiono due allegri serpenti a sottolineare quanto lui ed il suo scagnozzo siano assolutamente vicious.

“A …Fee?” ” A Fee, nothing more…”
Hannah, che dire, è stata una sorpresa. Era sicuramente un ruolo non facile e nemmeno un cosiddetto ‘semplice’ ruolo di supporto, perché in alcune scene diventa quasi fondamentale. Hannah, interpretato da Paride Acacia, è un complemento oggetto diretto per Caifa e dunque c’era bisogno di una presenza scenica notevole e di una voce carica. Mettici anche che l’attore incaricato di ricoprire tale ruolo è il Gesù del precedente allestimento, e la trasfigurazione ha del magico e dell’incredibile. Ho amato ogni suo acuto, ogni mossetta e smorfia, ogni volteggio del mantello, così come il battere ad hoc sulla placca metallica sul petto a richiamare le atmosfere del film. E’ amore.
Così come lo è stato per Erode. “Jesus, I’m overjooooyed to meet you face to face….” Sono quelle parole che ti lasciano vedere mentalmente un carosello di vivacità, e già sai che partirà il carnevale. La festa stavolta è resa più spaghetti e mandolino piuttosto che Studio54,ma fa il suo porco effetto. Problemi al microfono per l’attore che, tuttavia, non si scompone ed anzi, sfrutta la cosa a suo vantaggio. Un passaggio ben orchestrato, forse anche meglio del balletto di Simon Zealotes, che comunque trasmette energia e coinvolge tutto il pubblico nostalgico ed ormai già quasi pronti a ballare in piedi.
La dolcezza è invece quella di Maria Maddalena che nella performance della Molinari trova sonorità un po’ più acute della leggendaria Yvonne Eliman, ma che accompagna con un fisico notevole ed una presenza scenica da fatina, il suo leggiadro volteggiare e gorgheggiare attorno a Gesù.
Gesù. Che dire di lui, di Gesù. Che è proprio Gesùgesùgesù, tanto che lo vedi tra una strofa e l’altra rivolgersi al cielo e potresti credere di vederlo parlare con Dio per davvero. Poi, quando in Gethsemane raggiunge il pubblico grazie ad una pedana posta in posizione strategica, è un colpo al cuore. Non c’è primo piano della telecamera sul Cristo sofferente ma le note della chitarra acustica si infrangono sul suo volto ormai segnato dalle rughe e non più giovinetto, e sulla voce che si fa più calda, più pastosa, e l’interpretazione è ancora più vissuta di quanto non fu nel 73. Lacrime vere, lacrime pure e che rimangono li fino a quando ci troviamo al cospetto della corte Romana. Dell’interruzione d’intervallo nemmeno ce ne rendiamo conto.
Pilato è lì, che ci attende ed attende The King of the Jews, dopo averci informato del suo sogno e del patema interiore che porta con se per una decisione che non voleva prendere. Encomio a Pau per aver saputo quasi smorzare in un certo senso una verve marcatamente rock e guascona, lasciando che il suo essere attore venisse fuori , con tutta la sua grinta intatta ma anche con una sensibilità lodevole. Le movenze alla ‘Renato Zero’ per i profani, con quella manina lì che marchio di fabbrica è diventato per l’attore del film, riesce a reggere alla grande il paragone.

#SòSorcino #PilatoSelfie #menelavolemani #IlMessiaNonL’avevoConsiderato
Lo spettacolo scorre veloce, come ogni cosa bella, come quando davanti al tuo film preferito inizi con la certezza di voler rivivere ogni singolo momento ma sono così veloci e difficili da essere intrappolati, che nel tuo stesso cantare ogni singola strofa ti sembra di consumarne una parte, un piccolo pezzetto che invece volevi tenere in serbo solo per te.
E’ certo che, chiunque abbia vissuto questa esperienza incredibile al Sistina, difficilmente riuscirà a dimenticarla. Dall’alto/basso dei miei quasi trent’anni custodirò questo tesoro tra i ricordi più belli, come un unicum, un gioiello da incastonare nella più bella delle corone che, troppo gelosa per mostrare ad occhi avidi, non indosserò mai… ❤
-Notforyourears
sono uno di quelli che come tu dicevi, a differenza tua, il film l’ha visto al cinema perché il vhs ancora non esisteva. Ho cominciato a vederlo a 13 e solo al cinema l’ho visto 15 volte. E’ parte di me. Già quando vidi la versione con Carl Anderson pensavo di avere raggiunto il massimo per me suo fan da una vita; ma ora sono ancora sotto shock per avere visto, ascoltato ed incontrato Ted dopo 40 anni dal mio primo incontro con lui sullo schermo. Ho pianto leggendo la tua recensione perché sei riuscita a descrivere lo stato d’animo di tutti noi fans di JCS, nonostante tu abbia 20 anni meno di me. Grazie
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Non dico che lo scopo era far piangere ma….è stato ed era sicuramente inevitabile! Me ne sono resa conto quando mi sono trovata lì in teatro con i lacrimoni che scendevano giù, come avessi sempre aspettato quel momento. Penso che JCS sia ultra-generazionale, non ha età ed è un qualcosa che ti tocca nel profondo e che accomuna tutti quelli che sanno apprezzarlo per quello che è: un vero masterpiece! Quindi, che tu abbia vent’anni in più o in meno non ha importanza, per me sei comunque un fratello di musical! 🙂 Peace!
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Has descrito todas las emociones que sentimos mis hijos(32 y 29 años)y yo (57 años) sentimos en Sistina,yo vi en cine la película más de 10 veces. Desde los primeros acordes de la guitarra estábamos llorando, fue impactante ver a Ted en el escenario y ver a Carl (reencarnado )en Feisal,este chico vale mucho. Esta opera rock cambio mi vida y ha influido en la de mis hijos, es una obra de arte y el elenco es maravilloso. Nosotros lo vimos el 3 de mayo en Sistina y espero que vengan a España para verlos otra vez. Un saludo a todos los fans,como me dijo Ted estamos conectados espiritualmente
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Gracias por haber leido este articulo.
Lo maravilloso es que lo que esta pelicula (y despues esta nueva representacion teatral) comunica, es algo que va mas allà de las palabras y de los idiomas. Me alegro mucho de haber logrado representar las emociones de todos los que fueran al Sistina y que han tenido suerte en el ver este espectaculo.
Saludos desde Italia!;)
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No se si tuviste oportunidad de hablar con Ted Neeley, a nosotros nos sorprendió su humildad y su cariño a los fans, yo esperaba una foto,un autógrafo y nada más,pero hablo con nosotros de la emoción que sentía todos los días en el escenario ante nuestros aplausos,y de como Feisal hacía un Judas en honor a Carl y que sentía a su amigo (Carl)en el escenario con él.Y sus abrazos………….son magníficos, es un gran cantante y un gran hombre, saludos desde Pamplona-España
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